LUCIANO EMMER


Ore 9: lezione di cinema al Torino Film Festival. Un bel titolo per questo video di un’ora, realizzato da Luciano Emmer, in collaborazione con la NUCT (Nuova Università del Cinema e della Televisione) fondata dai fratelli Giuseppe e Pasqualino De Santis. Un documentario, ma anche confessioni personali, consigli per chi s’affaccia al mondo del cinema, e breve collage di fiction ideate dagli allievi.
È stata anche l’occasione per rievocare la lunga carriera del cineasta, splendido 84enne (lui si prende in giro chiamandosi “vecchiaccio”) che ha all’attivo tanti ‘Caroselli’ televisivi e lungometraggi a soggetto come Domenica d’agosto e La ragazza in vetrina. Ma anche straordinari film di montaggio in cui è riuscito a rendere il movimento in grandi affreschi e pitture, tramite un abile gioco di carrellate, montaggio e dissolvenze.
La presenza di Emmer in persona, a Torino, ha fatto sì che anche pubblico e critici partecipassero alla lezione di cinema: una sorta di replica dal vivo.
Ecco un estratto dei suoi insegnamenti:

Racconto contro sceneggiatura
Non ho mai scritto una sceneggiatura in vita mia, solo racconti, romanzi. Mi infastidisce dover specificare il tipo di piano, sia all’americana coi dialoghi sotto, o all’antica maniera col dialogo a lato. L’unica cosa che conta sono i dialoghi. Bisogna abbandonare la parola sceneggiatura e dire racconto. Perché quello che si dicono le persone è ciò che conta.

Regia e stile
C’era un regista, Tanio Boccia che si rivolse a Fellini e gli disse: “A Federì, ma tu, quando che giri, la tormenti la macchina da presa?”. Anche al mio amico René Clair, una sera che eravamo a cena insieme, gli hanno fatto la domanda: “L’inquadratura di una scena che tormento le provoca?” e lui: “Tormento? La macchina da presa la metto nel punto dove vedo meglio quello che voglio raccontare”.

Il rapporto con gli attori
Mi piace conversare con gli interpreti, come con qualsiasi altra persona; raccontare la storia che voglio fare, cercare di capire se loro reagiscono alla storia. Faccio esattamente l’opposto di Stanley Kubrick che prendeva gli attori e li teneva segregati per due anni, per far che non lo so.

Bianco e nero o colore
Il colore distrae dall’intensità del bianco e nero che racconta la storia come un romanzo. Non ho mai amato Il gattopardo, solamente le ultime tre bobine, dove sembra che Visconti abbia dimenticato il colore. Quella straordinaria immagine, che ricordo in bianco e nero anche se Luchino l’ha girata a colori, in cui il prete arriva a dare l’olio santo a un morente, mentre Burt Lancaster passa vestito di nero, con una sciarpa bianca attorno al collo…

autore
12 Novembre 2002

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