‘Luce’. Marianna Fontana e Tommaso Ragno, le mani bruciano e il latte fa rinascere

Il film di Silvia Luzi e Luca Bellino in Concorso Internazionale a Locarno77, prodotto da Donatella Palermo. L’attrice racconta: “ho lavorato davvero le pelli, avevo i calli, mi bruciavano le mani: grazie a questa esperienza ho capito chi fosse il personaggio e la libertà che cercava”


LOCARNO – Due voci. Una, quella del personaggio di Marianna Fontana, di cui si mostra il viso, lo sguardo umido, il corpo sempre un po’ raccolto su se stesso, l’essenza viva, ma di cui non si conosce il nome; poi quella di qualcun altro (Tommaso Ragno) dall’altra parte del filo del telefono: il fascino e l’inquietudine serpeggiano nella (storia di) Luce, film italiano nella selezione del Concorso Internazionale di Locarno77.

Silvia Luzi e Luca Bellino (opera prima Il Cratere, 2017 – presentata alla SIC della 74ma Mostra di Venezia) sono gli autori di questo film a quattro mani, prodotto da Donatella Palermo, e di Luzi e Bellino non sono solo soggetto, sceneggiatura e regia, ma anche il montaggio, cioè quello che è notorio essere un’ennesima scrittura del film, che per un’opera come Luce sottolinea la necessità e la personalità di un marchio di fabbrica: “Il metodo di lavorazione è quello che amiamo: una sceneggiatura riscritta giorno per giorno, luoghi veri, persone reali, riprese in sequenza, una recitazione che non è più finzione ma messa in scena di se stessi”, spiegano.

Marianna Fontana – la cui espressività nei ruoli stratificati di malinconia e sofferenza, ma altrettanto pieni di una forza interiore esplosiva, è ancor più pulsante laddove controllata ma vibrante – interpreta una ventenne operaia, “ignorante e sottoposta” in una fabbrica di pellami del Sud, e lì – tra la catena di montaggio e i rumori nervosi di lamiere e metallo – un pensiero fisso le continua a bussare dentro la testa, sfiorando l’ossessione. La simbologia non manca, e così la scelta della stagione dell’inverno, con tutta una metafora insita in sé; nel ricorrere dell’oscurità tipica della notte, nell’abbraccio della solitudine circostante, colmata solo da una gatta da coccolare, con unico vero compagno: un cellulare; l’essere “qui e ora” prende la forma di qualcos’altro, di qualcun altro. “Marianna è stata una scelta semplice: non abbiamo fatto casting, avevamo in mente un volto e una voce, quelli di Marianna. Non abbiamo cambiato il nostro metodo di lavorazione perché Marianna l’ha accettato, lavorando per mesi in fabbrica con un contratto di apprendistato, mentre le altre operaie non sapevano fosse un’attrice: doveva imparare a lavorare e parlare con e come loro. Noi, non abbiamo tradito il nostro metodo, anche per non sentirci a disagio col racconto di finzione: le lavorazioni in fabbrica che si vedono nel film sono reali, non abbiamo mai alterato i ritmi della fabbrica, e con Marianna è stato straordinario, perché un’interprete così a disposizione crea un’alchimia”, spiega Bellino.

Per Fontana “loro sono registi che ti danno la possibilità di essere libera: io ero parte integrante di una costruzione, avvenuta nei mesi come la costruzione di una casa. Il mio personaggio ha tante sfaccettature, lavora in un contesto difficile: è stato molto bello. Ho lavorato davvero le pelli, avevo i calli, mi bruciavano le mani: grazie a questa esperienza ho capito chi fosse il personaggio e la libertà che cercava. Lei ha tanta rabbia e non ha la possibilità di uscire dalla sua ‘stanza’, la fabbrica: il ferro, l’odore dei pellami, la sporcizia, sono stati una fonte per cercare questa protagonista senza un nome. Con le telefonate lei percepisce qualcosa che non tocca, una pelle… che non ha: ho compreso umanamente il senso del lavoro, e l’importanza del dare voce a una persona che ha bisogno di luce nell’oscurità”.

C’è il gioco di ruolo, c’è il buio e c’è la Luce del titolo: è la mutevolezza del senso del potere nelle sue forme più insane a innescare la scelta e la ricerca di altro da sé, comprensibile nell’istinto di sopravvivenza, nella ricerca di dignità e affetto, che l’essere umano va cercando. Le voci, l’isolamento, le solitudini che si toccano, “fanno parte dei nostri temi: la famiglia intesa come società nella società, con le sue regole interne, così il carcere e la fabbrica. C’è la scelta di tornare ai rapporti di potere, cercando di romperli: per lei è un’ossessione, per la voce è un gioco, una liberazione, e per noi erano importanti due archetipi in questo contesto difficile. Sono due solitudini e due rabbie che s’incontrano; volevamo raccontare questo, senza andare a spingere sulla fabbrica o sul carcere nello specifico. Infine, lei, capendosi osservata, da un drone, di notte, arriva a un momento catartico e lì beve del latte (destinato a un gattino), quindi si allatta, dunque rinasce, nel buio. Potevamo finire sul suo primo piano ma abbiamo scelto di continuare il percorso… infatti lei cammina…”, precisa Luzi.

E poi, conclude Bellino, rispetto alla voce, è stata una scelta “un po’ rosselliniana: trattiamo e maltrattiamo la realtà e sì, siamo profondamente rosselliniani. La voce non era una volontà tecnica o estetica, volevamo che anche lo spettatore vivesse la trasformazione del vero in falso e del falso in vero” e, sul carcere, specifica come “una delle sfide era far vedere il carcere senza mostrarlo: ci siamo affidati a Tommaso Ragno per creare la lingua del carcere, che nella realtà non è un dialetto specifico, e la sua voce ci ha permesso di usare un po’ di napoletano, un po’ di siciliano, il tono di un Sud indefinito”.

Poetica, paterna, onirica, la conclusione sonora del film, affidata a Un aeroplano a vela di Gianmaria Testa, che canta: “Un transatlantico di carta ti regalerò – Quando dovrai partire – E un capitano con le mani lo navigherà – Da questo ad un altro mare – Un transatlantico di carta ti regalerò – E un aeroplano a vela – Ed un pilota con gli occhiali lo piloterà – Da questo a un altro cielo …”.

Luce è una produzione Bokeh Film, Stemal Entertainment con Rai Cinema. Per Donatella Palermo: “le cose belle si possono sempre fare: mi sono trovata tra le mani un film di finzione che racconta cosa succeda quando si forzano i sogni, e man mano diventava cinema del reale: lo fanno solo loro due, è un metodo magico”.

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