Buio e luce. Lo schermo del Teatro 18 di Cinecittà si illumina di fronte a un pubblico silenzioso, attento, estatico, consapevole di vivere un evento unico. La performance è fatta di immagini, di suoni, di suggestioni ipnotiche, di improvvise sospensioni e accelerazioni. E’ un’opera che vuole celebrare i cento anni dell’Archivio Luce ma che guarda anche al futuro. “LUCE” è la creazione di Quayola, artista romano di fama internazionale chiamato dalla presidente di Cinecittà Chiara Sbarigia, come era già avvenuto per Vanessa Beecroft che aveva intessuto una sua opera al Teatro 5. Esperienza effimera e al tempo stesso duratura, materiale e immateriale, sensoriale e intellettuale al contempo. Del resto Quayola definisce se stesso come un artista che usa la tecnologia come lente per esplorare le tensioni e gli opposti: il reale e l’artificiale, il figurativo e l’astratto, l’antico e il nuovo.
In questo caso al centro della sua ricerca ci sono gli splendidi materiali del Luce che vengono reinterpretati e manipolati grazie all’uso della tecnologia, l’Intelligenza Artificiale di cui si parla tanto e che qui vediamo in azione, ma al servizio di un preciso progetto. Nascono, attraverso l’ingegno umano e artificiale, quelli che lui chiama “dipinti algoritmici” e in effetti le scene rappresentate – per lo più momenti di danza, ma anche spaccati di vita urbana e, all’opposto, scene campestri – vengono scomposte e ricomposte, pixelate, pennellate, colorate, decolorate, con evidenti citazioni dalla storia dell’arte, tra Pierre August Renoir e Fattori, ma anche attraverso sintesi geometriche quasi cartesiane.
Lo schermo del Teatro 18 di Cinecittà, smart stage con uno dei ledwall più grandi d’Europa, è il luogo ideale per ammirare queste immagini immense, incessanti, che si sdoppiano e si moltiplicano, che sovrastano l’uomo ma da cui riaffiora l’umano, con volti e corpi di altre epoche che diventano contemporanei. Il Teatro ha accolto il pubblico a partire dal tardo pomeriggio, con un’ipnotico ripetersi di immagini e disegni in rapida trasformazione, un preludio alla performance dell’artista che è emerso dal buio al centro di un palcoscenico virtuale, demiurgo e direttore d’orchestra alla “tastiera” del suo computer. La performance è il culmine di una lunga fase di ricerca in cui Quayola ha analizzato migliaia di immagini e video dell’Archivio Luce mediante sofisticati software di analisi per estrapolare dati legati a caratteristiche, movimento e composizione.
Il sottosegretario alla Cultura Lucia Borgonzoni commenta: “Per il ministero è fondamentale non solo tutelare il nostro patrimonio ma renderlo sempre più fruibile, in particolare alle nuove generazioni e riuscire a unire sempre di più le arti, che è quello che fanno i giovani artisti. Spesso quando si pensa agli archivi si pensa a qualcosa di morto, invece sono le nostre radici, sono estremamente vive e possono dare una propulsione per guardare verso il futuro. Quest’opera è anche l’unione dell’Intelligenza Artificiale all’uomo, ma qui l’uomo è padrone”.
Per la presidente Chiara Sbarigia, l’opera di Quayola, che troverà successivamente spazio anche al Miac come accaduto per l’installazione di Vanessa Beecroft, “è la tappa più recente di un processo che vuole rendere Cinecittà un luogo di pensiero e di produzione culturale stimolante e inclusivo, un laboratorio di ricerca aperto ai dibattiti del nostro tempo e alle forme d’arte più innovative per offrire esperienze diverse come l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze al servizio della collettività”. La presidente aggiunge: “Quayola ha utilizzato i materiali d’archivio in modo sorprendente e con questo lavoro ci smarchiamo definitivamente da quell’aria un po’ polverosa che si vuole dare all’Archivio Luce, che è invece una fonte di grande creatività. Inoltre anche l’archivio si arricchisce di materiali nuovi, come accaduto con i fotografi che abbiamo coinvolto”.
L’opera di Quayola intende superare la dimensione temporale delle immagini d’epoca, focalizzandosi sulla “pura forma” piuttosto che sull’iconografia o sul significato storico e sociale di ciò che vediamo, in questo senso tende all’astrattismo pur recuperando di continuo una pittorica figuratività. Emozioni e ricordi sono come coagulati in un tempo fuori dal tempo. L’algoritmo si confronta con l’incertezza, l’errore e le probabilità, generando una “poetica dell’errore”. La fallibilità della macchina, rispetto al suo ideale di precisione meccanica, diventa l’oggetto centrale dell’indagine estetica di Quayola.
“Credo che non ci sia mai stato un momento in cui il dibattito ‘reale vs artificiale’ sia stato più rilevante di come è ora e di come sarà negli anni a venire – afferma l’artista – Nel mio lavoro cerco di riflettere sul fatto che viviamo in un’epoca permeata dalle nuove tecnologie, dove lo sguardo umano si ibrida con quello degli apparati tecnologici. La tecnologia, in quanto amplificatore delle percezioni umane, imprime alla realtà una modalità di visione che è allo stesso tempo aliena e rinnovata. La macchina e il suo linguaggio, il codice, sono portatori di un’innovazione estetica che prende forma in una nuova gestualità; in LUCE i dati estratti dalle immagini e dai video di archivio diventano nuove unità espressive”.
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