Luca Maria Vannuccini è di Roma e ha 22 anni. Ha capito di voler fare l’attore con il tempo. Per un periodo si è diviso tra lo sport a livello agonistico (il canottaggio) e la recitazione, che lo ha aiutato a superare anche la sua dislessia e renderlo più sicuro in se stesso. Poi è entrato alla Scuola d’Arte Cinematografica Gian Maria Volonté. Oggi ha la passione per la pittura, ascolta la musica rap e, come i suoi coetanei, cerca di farsi strada nel mondo dello spettacolo. Dopo aver interpretato Giulio nel film Anni da cane di Fabio Mollo (ancora disponibile su Prime Video), il prossimo 6 ottobre debutterà nei panni di Adriano, ragazzo che vive la sua giovinezza negli anni Novanta, nella nuova serie Sky Original Un’estate fa, mystery crime con Lino Guanciale, Filippo Scotti e Claudia Pandolfi.
Luca, chi è Adriano?
Un ragazzo pieno di voglia di fare che ha sempre avuto lo stesso gruppo di amici. Quell’estate dei Mondiali del ’90 sentirà l’esigenza di vivere tutto al massimo, senza volersi perdere neanche un momento della sua vita. L’amicizia per lui rappresenta un valore profondo, soprattutto quella con Elio, che per lui è come un fratello. Non si può dire di più di Adriano, ma nel corso degli episodi verrà sicuramente fuori l’evoluzione di questo personaggio.
Questa serie affronta diverse tematiche, il doppio, la nostalgia, il lasciar andare. Cosa ti ha colpito maggiormente?
Per me è stata una grande esperienza formativa e personale. Mi ha fatto uscire da una bolla, mi ha cambiato. Oggi sento di essere un’altra persona sia per il gruppo che si è creato, che per la storia che abbiamo raccontato. Sul set sono nati dei legami veri e questo non è scontato. Sarà perché con gli altri ragazzi abbiamo vissuto in un hotel durante le riprese in Puglia che ci ha permesso di creare un rapporto fortissimo gli uni con gli altri.
Ultimamente capita spesso di vedere progetti ambientati negli Anni Novanta. Avresti preferito essere giovane in quel periodo?
Io sto bene così dove sono. Sto trovando una mia centratura che questo tempo e questo spazio mi danno. Non posso comprendere completamente i giovani degli anni Novanta, ma sicuramente girando questa serie mi sono reso conto di alcune cose. Allora si viveva la realtà in modo più popolare e terreno. Oggi con i social è diverso. Penso che abbiano un grande potenziale, sono uno strumento utile, ma la gente dovrebbe avere delle istruzioni per l’uso. Manca un’educazione e una cultura ai social.
In questo momento riuscire a farsi strada nel mondo della recitazione per chi è giovane come te quanto è complicato?
È certamente difficile. Ma credo che la sincerità, soprattutto verso te stesso, vinca sempre. Se sei sicuro del percorso che fai, in maniera autentica, allora esci fuori. Tutto dipende dall’individuo che sei e da ciò che cerchi. Sono nato demotivato, poi ho capito tante cose. Che quando inciampi, puoi avere intorno a te persone che ti aiutano a rialzarti, ma devi saperlo fare anche da solo. Io oggi credo molto di più in me stesso e nelle mie potenzialità.
Quando hai sentito di voler fare l’attore?
Sin da ragazzino mi piaceva mascherarmi, trasformarmi in altro. Poi il primo approccio a un corso di recitazione è stato a 13 anni. Ero dislessico, con i capelli rossi e a caschetto, i denti separati, mi sentivo un po’ inadeguato. E quel corso è stato importante per me. Quando finiva il mio, rimanevo a guardare i ragazzi più grandi recitare senza comprendere bene cosa significasse per me. Quando sono entrato alla Gian Maria Volonté, con il tempo ho capito che tipo di attore volessi essere.
Ossia?
Un attore in grado di lasciare una traccia. Credo che il fine di questo lavoro debba essere questo. Non si deve fare l’attore tanto per farlo, altrimenti non avrebbe senso. Recitare smuove qualcosa dentro, ti fa entrare in crisi per poi riscoprire chi sei. Ed è bellissimo, a ogni età, continuare a mettersi in discussione.
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