Ha una visione disperata e politica il russo Andrej Zvyagintsev, premiato all’ultimo Festival di Cannes col Premio della giuria, candidato a tre Efa e in lizza per rappresentare il suo paese agli Oscar con il suo Loveless. Il cineasta (Leone d’oro a Venezia con la sua opera prima Il ritorno) parte dalla, se vogliamo banale, vicenda di un divorzio. Boris e Genia si stanno separando e cercano di vendere al più presto l’appartamento dove vivono. Entrambi si sono già rifatti una vita, come si usa dire: lui ha messo incinta una ragazza più giovane, lei frequenta un ricco vedovo. Ma c’è un impaccio, il figlio Aliosha, ragazzo chiuso e solitario: completamente ignorato dal padre, maltrattato dalla madre, che progetta di metterlo in collegio e preferisce chattare sul suo telefonino piuttosto che parlare con lui. Ma Aliosha, un giorno, non fa ritorno da scuola. La polizia minimizza il caso pensando a una ragazzata ed è un gruppo di volontari ad organizzare le ricerche, che ovviamente porteranno a galla il vuoto esistenziale, l’anaffettività e la profonda disperazione dei due genitori e di un’intera società che Zvyagintsev dipinge con freddezza e al contempo con partecipazione. Non senza riferimenti alla situazione politica.
“Stavo lavorando a un altro progetto, ma quando lo sceneggiatore Oleg Negin mi ha raccontato la storia della sparizione di un ragazzo, ho capito che era il film che volevo fare. Ogni giorno in Russia spariscono tante persone, sono migliaia ogni anno, può essere vista anche come una metafora”. Politico eppure costruito attraverso una vicenda che sfiora la metafisica, con un uso quasi mistico di paesaggi e location, alla Tarkovskji, il film è prodotto da Alexander Rodnyansky, lo stesso produttore dei precedenti Leviathan (premio per la sceneggiatura a Cannes 2014) ed Elena (premio UCR). Rodnyansky rivela che per questo film non ha richiesto i finanziamenti pubblici. “Dopo le polemiche che avevano accompagnato Leviathan, ho preferito così, anche se lo Stato da noi è la principale fonte di sostegno per il cinema, non volevo metterli di nuovo in imbarazzo. Abbiamo trovato vari partner internazionali e quindi Loveless è una coproduzione tra Russia, Francia, Germania e Belgio”.
Zvyagintsev racconta di come ha costruito una delle scene centrali del film, quella in cui i due genitori, alla ricerca del figlio, fanno visita alla madre di lei, donna dura, volgare, quasi oscena, che viene definita come uno Stalin al femminile. “Volevo creare un’atmosfera satirica e così ho modificato la prima stesura della sceneggiatura in cui i due genitori facevano visita a un parente lontano, un cugino. Ho capito che doveva essere la madre di Gena”. Ed è un modo perfetto per mostrarci un paese che ha perso la capacità di amare. In primo luogo se stesso.
A un giornalista ucraino, che a Cannes gli contestava la scelta di far sentire dalla tv spesso accesa, la versione “propagandistica” dei tg russi sull’Ucraina, Zvyagintsev ha replicato secco: “Se avete visto Leviathan sapere bene come mi colloco in politica. Non mostro la propaganda russa, ma la realtà in cui vivono i miei personaggi. Quelle immagini sono satira. Del resto la sparizione del ragazzo ha un senso metaforico, parla della perdita di relazione con il nostro prossimo”. Alexey Rozin (il padre) è al terzo film con Zvyagintsev, mentre la bravissima Maryana Spivak (la madre) è alla prima prova importante nel cinema, infine i volontari che cercano il ragazzo fanno parte di un’associazione che si occupa proprio di ritrovare persone scomparse. Lo fanno a titolo gratuito e rappresentano in un certo senso l’unico spiraglio di speranza in questo mondo senza pietà. Loveless uscirà il 6 dicembre con Academy Two ed è un film da non perdere.
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