LECCE. Una Nouvelle Vague 2.0 quella narrata dall’opera prima WAX – We Are the X che ha inaugurato il Festival del cinema europeo. A firmarla è il 35enne leccese Lorenzo Corvino, da tempo trasferito a Roma dove, dopo la laurea in Filmologia e il diploma alla Nuct nel 2008, ha maturato un solida esperienza di corti e videoclip. Dario, Livio e Joelle, coetanei del regista, sono i protagonisti di un menage a tre che non porta alla sofferenza o alla distruzione, ma è invece il simbolo di una generazione che si riscatta grazie all’amicizia e all’amore.
Tutto si svolge a Monte Carlo dove i due giovani arrivano da Roma e incontrano Joelle per realizzare uno spot. Il loro incarico si rivela più difficile e complicato del previsto e le loro vicende avventurose ci vengono raccontate sotto forma di testimonianze, ricorrendo alla scelta stilistica di girare con la tecnica della soggettiva. Accanto a un’icona come Rutger Hauer, il regista ha voluto per un altro importante cameo un interprete del calibro di Jean-Marc Barr – “Cercavo un attore francese per ricoprire il ruolo della guest star” – che ha accettato, con un cachet ridotto, contento di avere finalmente un ruolo brillante dopo tanti drammatici.
E non è stata dettata dal budget, ma dal proposito di restituire al pubblico un’atmosfera fresca e spontanea, la scelta di volti sconosciuti per i protagonisti: Jacopo Maria Bicocchi che ha ricoperto piccoli ruoli in La prima linea e Diaz; Davide Paganini in Romanzo di una strage e la francese Gwendolyn Gouvernec. Il produttore truffaldino e cialtrone è impersonato da Andrea Renzi.
WAX – We Are the X, in sala con Distribuzione Indipendente dal 31 marzo, ha avuto anteprime al North Hollywood Film Festival di Los Angeles, ai festival di Saint Troipez e Madrid e alla rassegna di cinema italiano ospitata a Hong Kong.
Il suo è un omaggio alla Nouvelle Vague?
Non solo a Jules e Jim di François Truffaut, ma anche a Y tu mamá también di Alfonso Cuarón e a The Dreamers di Bernardo Bertolucci. Ma il menage a tre che racconto, a differenza dei tanti narrati al cinema e dei film appena citati, è il primo nel quale l’unione non viene penalizzata dal senso di colpa o dalla morte, non propone un approccio moralistico. Dario, Livio e Joel quando si uniscono vincono, quando si separano e litigano falliscono.
Comunque un tentativo di rileggere la Nouvelle Vague?
Riattualizzando gli stilemi: il racconto dei sentimenti non più fini a se stessi, ma il sentimento inteso come base per una crescita spirituale, e non vissuto, ad esempio da Truffaut in Baci rubati, come gioia del disincanto di una generazione. Inoltre abbiamo recuperato come linguaggio il ‘jump cut’: 1300 sono i tagli contenuti in WAX, quando in un’opera prima italiana in media sono circa 500.
Una storia vera quella che ci racconta?
Un terzo del film è cronaca vera: mi è accaduto di girare uno spot nel Principato di Monaco. Dal punto di vista psicologico la verità sfiora più dei due terzi, il resto è invenzione.
Chi sono i personaggi di WAX?
Rappresentano quei giovani che sono perennemente trattati da apprendisti. Il film restituisce un’idea esistenziale della generazione in cui potrebbero riconoscersi quei 13 milioni di italiani, tra i 30 e i 44 anni, che secondo una ricerca Istat hanno uno stato d’animo d’incertezza e di un futuro indefinito, una condizione provocata non solo dal lavoro discontinuo ma da una reiterata adolescenza. Del resto l’ingresso nell’età adulta non è una questione anagrafica, ma è uno stato d’animo.
Non è però un film con protagonisti giovani arrabbiati.
A differenza del Sessantotto, non ha senso oggi essere arrabbiati perché qualcuno ha ciò che tu non hai. Occorre pensare a un riscatto generazionale, sapendo che non siamo gli ultimi sulla Terra, ma che dopo di noi verranno altri che ci giudicheranno come noi lo stiamo facendo con le precedenti generazioni. Chi è arrabbiato vive una visione millenaristica. Ho puntato sul contrappunto tra uno spazio come la Costa azzurra dove ci sono lusso e ricchezza e questi giovani che si confrontano con qualcosa che non possono possedere, un mondo esterno che non rispecchia la loro instabilità dell’esistenza.
E’ ricorso a differenti tecnologie per dare questa vicinanza e intimità con i personaggi e il loro vissuto?
Il film è stato girato equamente con un iPhone per le inquadrature più difficili, con una videocamera Red Scarlet e la telecamerina Gopro.
E’ stato difficile produrre questo esordio?
Non c’è apporto diretto di fondi pubblici, devo tutto al tax credit. Il film è costato 409mila euro di cui 195mila di tax credit esterno e 60mila di tax credit interno, il resto è coperto da sponsor privati e dalla società da me creata. Comunque ci sono voluti 18 mesi per trovare le risorse necessarie. La Banca Popolare Pugliese è stata la prima a credere al progetto, utilizzando proprio il tax credit.
La difficoltà più grossa incontrata nel suo esordio?
Quella che mi ha tolto tante energie è stato il dover rivestire tanti ruoli contemporaneamente. Sono stato produttore, regista, aiutoregista, assistente al montaggio, supervisore di post produzione.
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