Lo Fazio: “Per ‘STUDIO EL a Cinecittà’, l’umanità di due intellettuali, Scola e Ricceri”

L’intervista all’autrice del documentario sulla bottega del regista e dello scenografo in anteprima assoluta al Bif&st, come tributo dedicato al maestro di 'C’eravamo tanto amati' e 'Una giornata particolare', nonché Presidente Onorario della manifestazione barese


BARI – E e L, Ettore e Luciano, Scola e Ricceri. Due uomini, due artisti, due anime creative che dentro alla Fabbrica dei Sogni hanno creato, partorito e lasciato ricordi perenni di capolavori del loro cinema, diventato nostro, del patrimonio italiano e non solo.

Tutte le cose che restano – Studio EL a Cinecittà di Cinzia Lo Fazio debutta al Bif&st di Bari per il Tributo dedicato a Ettore Scola, per molti anni presidente del Festival e spirito guida della manifestazione, in quanto – dal 2016 – Presidente Onorario.

Cinecittà, nell’immaginario e nella sostanza, è una vera e propria cittadella e come fu casa per Fellini, lo è stata anche per altri Maestri, di cui restano tracce indelebili e vive, sempre attuali, di un passaggio personale e artistico: così è per lo Studio EL, un preziosissimo “angoletto” defilato quanto misterioso e suggestivo, che ha rischiato di svanire. Cinecittà lo ha di recente acquisito, per poi aprirlo al pubblico nel 2023, con l’intento di valorizzarne il patrimonio e offrirlo alla collettività.

Ha appena festeggiato i suoi primi 40 anni, sì perché Scola e Ricceri – regista e scenografo, sodali per molti e molti film – lo hanno fondato nel 1983 con lo spirito di una bottega rinascimentale, di una factory creativa, ovvero un cuore pulsante di creatività personale ma anche di formazione: lì, più d’uno, è stato allievo di questi Maestri.

La loro scomparsa – per Scola nel 2016, per Ricceri nel 2020 – aveva un po’ cristallizzato lo Studio EL, ma restavano la memoria e le tracce di un patrimonio artistico e umano: in primis grazie al senso di cura, allo spirito affettivo e alla tenacia di uno storico collaboratore, Ezio Di Monte, protagonista del film di Cinzia Lo Fazio. Studio EL, con il racconto documentario, ha ripreso vita nella sostanza di luogo storico: parlano gli oggetti, megafoni di ricordi, e sono in particolare 12 quelli su cui soffermarsi con curiosità e devozione, capaci di disegnare il percorso del film, che s’intesse tra le testimonianze – da Andrea Occhipinti a Roberto Cicutto, da Tosca D’Aquino a Nicola Maccanico, tra gli altri – e il prezioso, imprescindibile, materiale d’archivio.

Cinzia, qual è stato il suo rapporto con Studio EL prima del documentario e cosa ha pensato potesse raccontare quel luogo, attraverso la scelta di 12 oggetti ‘parlanti’?
Io a Studio EL ci sono vissuta, per mia fortuna, tra le prime persone: ho conosciuto Luciano Ricceri da giovanissima, quando stava decidendo, con Scola, di aprire questo posto, per cui ho proprio contribuito fisicamente allo spostamento dei libri dal precedente studio. Ho vissuto lo strano destino per cui tanti non hanno mai avuto contezza dell’esistenza di questo luogo, che man mano diventava sempre più ricco dei materiali che lo abitavano: lì dentro sono successe tante cose nobili, al di là della preparazione dei film. Dal 2000 in poi ho cominciato la mia carriera di scenografa, per cui Studio EL lo frequentavo più per le mie chiacchierate politiche con Ezio Di Monte, ma quando sono morti, prima Scola e poi Luciano, Cinecittà anni fa ha chiesto indietro questi spazi. Ecco, così, il moto di raccontare ‘i numeri due’, in quel momento Ezio, a cui ridare nobiltà, perché è stato quarant’anni lì dentro, a difesa del suo fortino: mi sono convinta – come avevo sempre pensato – che questo posto potesse essere salvato da un documentario, così ho recuperato Silvia, che era stata una stagista, di cui avevo visto il buffo scontro generazionale con Ezio, che ero convinta dovesse essere l’arbitro di questi oggetti per lei, che non li conosceva.

I 12 oggetti restituiscono la sensazione di essere stazioni alle quali fermarsi per riflettere: c’è un oggetto in particolare che l’ha stupita, che ha sentito possedere un’essenza particolare, magari più di altri capace di sintetizzare la dualità creativa dello Studio?
Probabilmente, il modellino del carro di Capitan Fracassa è quello che restituisce di più lo spirito. Dietro ogni oggetto c’è una storia lunga ma del carro, oltre all’oggetto, c’è anche il progetto, con ogni parte studiata, dalle aperture agli affacci, lì c’è tutto uno studio delle inquadrature, per cui di fatto racchiude un mondo, sia di scenografia che di sceneggiatura, oltre che di regia. Decisamente sì, dico: il carro.

Per la composizione del film, quanto e come ha tenuto in considerazione le personalità umane e creative di Scola e Ricceri, al di là del luogo che stava andando a raccontare?
Questo sta un po’ nella magia dei documentari: mi è successa una cosa umanamente molto tragica, perché ho sofferto della loro morte proprio nello studiare interviste, documentari, che in parte non avevo visto, che mi hanno un po’ traumatizzata, positivamente s’intende; per esempio, non ho montato quando Scola diceva: ‘io faccio volentieri il postino, per questi ragazzi’, cioè prendeva i loro scritti e li portava in Rai piuttosto che altrove per cercare di farli leggere a qualcuno che potesse essere interessato; mentre Luciano, che è sempre stata persona dura, pragmatica, presa dal lavoro, l’ho scoperto un intellettuale, cosa che non avevo valutato in 22 anni. Li ho proprio scoperti strada facendo e ancora mi viene il groppo alla gola: ero partita per raccontare la loro cinematografia e invece ho raccontato la loro umanità. Così come fanno un po’ tutti gli altri, penso alla commozione di Ricky Tognazzi quando parla di Ettore.

Ezio Di Monte è un po’ un Virgilio narratore di questo spazio: dal vissuto di lui, e considerando l’intento narrativo di lei, come ha costruito il ruolo?
Era proprio l’unico traghettatore possibile. Tutto parte dallo Studio e da tutto quello che lui ha difeso negli anni: io gli davo pure un po’ del feticista, tanto che qualche volta gli ho detto: ‘ma cosa ci dobbiamo fa’ con tutta ‘sta roba?’; però… avevo un raccoglitore, con fuori scritto ‘Concorrenza Sleale – foto di scena’, di cui nel tempo, qualcuno, ha sostituito il contenuto con una stupida collezione di bandiere: beh, io sono diventata pazza perché non avevo più quelle foto, che  servivano per il progetto, questo per dire il senso dell’importanza delle cose, che ho scoperto nel tempo in cui ho fatto il doc. Ezio è stato la chiave narrativa, perché raccontare questo Virgilio, che spiega a una giovane le cose che ci sono là dentro, è stato anche un restituire a lui un po’ di rivalsa. La cosa più importante, alla fine, è che sia successo quel che poi è successo, cioè la nascita del Museo Scola-Ricceri: mi sento che così abbiamo vinto un po’.

C’è un concetto fondamentale al principio di questo film, la memoria: qual è la sua necessità di mantenerla viva, e quale tipo di memoria voleva alimentare con questo racconto? Al di là dello Studio in sé, cosa non poteva non restare nella memoria collettiva di Scola e Ricceri? 
La parola che mi piace di più ricordare è ‘intellettuali’: loro hanno fatto scelte filmiche, cosa che comporta anche il rinchiudersi in uno spazio ricreato, perché ogni cosa restituisse un principio intellettuale; da La terrazza a Capitan Fracassa ogni contenitore che usciva dai loro ragionamenti era sempre misto: per Ettore era la possibilità di raccontare una drammaturgia e per Luciano una forma; infatti, dovendo io affrontare la regia per la prima volta, ho disegnato tutta la regia delle interviste in pianta: Luciano diceva che il disegno della scenografia doveva essere bello dalla pianta, ‘se è bella la pianta sarà bella anche la scenografia’ sosteneva, e questo è un grande segreto anche per scoprire la loro collaborazione. Per esempio, io in pianta ho ricostruito le posizioni macchina, tanto che ‘ho costretto’ Tovoli a essere intervistato di nuca, per cui lui, quel giorno al Teatro 5, mi ha detto: ‘Cinzia, avevo sottovalutato le tue potenzialità’, perché certamente era lui a raccontare ma La Rochelle doveva apparire, e l’unico modo per restare in campo poteva essere di spalle.

Se nel film è fondamentale il concetto di memoria, questo non può vivere senza materiale d’archivio: che selezione ha fatto, che materiali inediti o particolarmente originali andava cercando, e qual è il valore aggiunto?
Su questo aspetto ho proceduto un po’ di pancia: oltre alla collaborazione con l’Archivio Luce, ho goduto di quella cosa meravigliosa, per cui, per i documentari, succede che ci siano persone che ti bussano alla porta perché hanno qualcosa da farti vedere: così, c’è il doc di Fabrizio Giordani, che si era perso, e adesso è in qualche modo mio, fatto con gli scarti della pellicola di Capitan Fracassa; lui ha fatto questo backstage con delle chicche di Massimo Troisi, circa 20 minuti, che per ora conservo del tutto inedito: nel film ho messo dei pezzi in cui Troisi parla con Scola ma ci sono anche sequenze in cui balla, in cui parla con la troupe, fa proprio Pulcinella; poi c’è stato un professore, Zicoschi, che ha tirato fuori un backstage, fatto durante Concorrenza Sleale, con interviste sia a Scola che a Ricceri, che non ho voluto montare, perché parla di me, della mia determinazione: non l’avevo mai visto e infatti ho pianto tutta l’anima; è una determinazione che mi deriva dallo sport, perché sono stata campionessa di salto in alto, e Luciano alla fine di quell’intervista dice: ‘Cinzia mette nel cinema la sua bravura di atleta’; e poi c’è il materiale del CSC di Giannarelli, per cui ho tribolato tantissimo per i diritti, perché si tratta di una produzione del Centro che è fallita, quindi è stato faticoso da recuperare. Ho dato la possibilità a questi progetti dimenticati di avere una piccola storia, come gesto di nobilità: ho riempito, quanto più possibile, questo documentario di gesti di nobilità.

Il film di Cinzia Lo Fazio – in prima assoluta al Bif&st – è  una produzione Polygono Film e Luce Cinecittà, in collaborazione con CSC – Centro Sperimentale di Cinematografia: Tutte le cose che restano – Studio EL a Cinecittà sarà prossimamente nelle sale distribuito da Luce Cinecittà.

Nicole Bianchi
16 Marzo 2024

Bif&st 2024

Bif&st 2024

Bif&st, Laudadio esce di scena per dedicarsi al centenario di Camilleri

Dopo 15 edizioni Felice Laudadio lascia la direzione del Festival da lui ideato e fondato nel 2009

Bif&st 2024

I rapporti intergenerazionali, l’età, la convivenza in ‘La tartaruga’

Fabrizio Nardocci illustra la sua opera seconda, nella quale nella forma della commedia amara inserisce diverse tematiche: i rapporti intergenerazionali, l'età, le dinamiche della convivenza

Bif&st 2024

‘Animali randagi’. La libertà di scelta

Maria Tilli descrive la sua opera prima, "Animali randagi" lo sono in maniera diversa i personaggi del suo film, al centro la libertà di scelta

Bif&st 2024

Bif&st, doppietta di premi per ‘Il mio posto è qui’ di Cristiano Bortone

Il podio della sezione Italiafilmfest/Nuovo Cinema Italiano, con una Menzione Speciale per la Fotografia di Zamora - opera prima di Neri Marcorè - curata dal dop Duccio Cimatti


Ultimi aggiornamenti