BARI – La città ideale (2012) per Luigi Lo Cascio è il suo debutto dietro alla macchina da presa, esperienza mancata qualche anno più tardi per vicissitudini della vita, ma che entro il prossimo anno annuncia di ripetere.
“Un piccolo film, un po’ disperso ma in questa occasione recuperato”, così lo racconta l’autore, nell’incontro al Petruzzelli, che segue la proiezione. “È stato considerato complicato: quando fu presentato alla Sic a Venezia non ci credevano tanto i distributori: per fortuna Istituto Luce l’ha distribuito, in 18 copie, incassando in due settimane 180mila euro, una cifra che adesso non sarebbe male. Certo, non è un film da colazione a letto, ha bisogno di uno spettatore attivo. Questo ha determinato che tardasse qualcuno nell’intercettasse per un secondo film, che si sarebbe potuto fare sette anni fa: l’attore doveva essere Luigi Maria Burruano, mio zio, una persona difficile, sempre nell’eccesso, di grande carisma e affettuosissimo: credevo non avesse raccolto quello che meritava e così avevo pensato a questo film, Come sta lo zio Gigi, un film che raccontava il fare un film insieme a lui. Purtroppo s’è ammalato, non ci siamo riusciti: un grande rammarico”.
Nonostante questo, Lo Cascio non ha lasciato in sospeso l’idea di tornare dietro alla macchina da presa: “Credo di aver trovato ora la storia giusta. Nel frattempo sarò in giro in teatro con Marco Tullio Giordana con Pa, tratto dalle poesie di Pasolini, poi l’anno prossimo vorrei girarlo, in estate”.
Marco Tullio Giordana che per Luigi Lo Cascio è stato sinonimo della porta aperta sul cinema, come racconta evocando l’aneddoto che dal teatro l’ha portato sul grande schermo: “…ci fu la telefonata che ha cambiato la mia vita, il colpo di fortuna: ‘essere pronti è tutto’ si dice nell’Amleto e così è stato; ed è un fatto anzitutto personale: quello che succede nel tuo cuore; bisogna sempre avere la misura, sapere a che punto si sia del proprio apprendistato: io mi trovavo a casa a Palermo perché estromesso da uno spettacolo teatrale – il regista mi disse che ero insensibile, un cane, e mi lasciò a casa -, così si era estinta la mia presenza; nella disperazione e umiliazione, passavo il tempo facendo zapping in tv. Suona il telefono, era lo zio Gigi (Burruano): “…vieni subito a Mondello, sono col regista Giordana che ti vuole conoscere per un film. Era il 14 agosto ‘99, praticamente Ferragosto, un’odissea raggiungere Mondello, dove arrivo tutto sudato: Giordana mi vede, ‘sediamoci’, e cominciamo a parlare, con mio zio che fingeva di non ascoltare ma mi suggeriva le risposte perché ci teneva facessi bella figura. Io ho dovuto confessare che sì fossi attore ma di teatro, e non avessi visto niente… niente Antonioni, niente Kubrick, niente Welles, conoscevo solo i titoli dei film. ‘che fortuna!’ mi disse lui, ‘devi ancora viaggiare in tutto il mondo’. La telefonata è stata ‘il caso’, che s’è abbattuto per risollevarmi”. Il film era I cento passi (2000).
La storia di Lo Cascio, però, comincia dalla Medicina, infatti era studente alla facoltà: “Ho fatto i primi 8 esami, poi sono entrato in Accademia”, quella d’Arte Drammatica a Roma, nella classe con Favino, Boni, Gifuni: “con cui ho avuto un’amicizia sin dall’inizio, sono stato quasi adottato dalla famiglia, accolto con calore”. L’Accademia per Lo Cascio è stata “un’esperienza fondamentale. Uno spesso crede di essere bravo e preparato e vive la scuola con sufficienza, mentre scalpita per lavorare: invece c’è l’apprendistato e anche l’osservazione dell’altro. Il mio maestro è stato Orazio Costa: un suo principio pedagogico era far fare a tutti – intesi femmine e maschi – le parti di Amleto, Orazio, Ofelia, e questo ti dà il senso della singolarità del mestiere e impari che c’è tempo per lo stile personale; l’Accademia è stata fondamentale come garanzia per i miei, che non fossero solo mie fantasie, e per capire di poter fare qualunque cosa senza soggezione, pur nella tua piccolezza: uno spalancamento. Per tre anni l’Accademia diventa la vita”.
Un attore, nel mestiere, chiama in causa anche ha la dimensione dell’atleta, del superamento dei propri limiti: “C’è un ‘training’ – ovvero quello che si chiamano prove – per arrivare alle cose, un tentativo di conoscenza del proprio corpo, delle nostre qualità espressive. Ero un atleta, a livello scolastico, o poco più, e lì nel mezzo fondo ci sono i passi, lo stacco, il volo: somiglia molto alla preparazione del personaggio e poi a essere sul set. Nel film Delta – nelle sale – il mio personaggio è molto educato, ecologista, pacifista, poi si rompe qualcosa in lui e si ritrova nell’eccesso: non lo puoi preparare a casa questo, è qualcosa proprio dell’evento, del rapporto con Alessandro (Borghi, coprotagonista)”.
Questo citato è il più recente dei film interpretati da Lo Cascio, e appena antecedenti sono stati il suo ruolo in Spaccaossa e ne Il signore delle formiche, sinonimo dell’incontro con Gianni Amelio: “è stato un anno denso: m’è capitato, di solito, di fare un film all’anno, e poi il teatro; quando c’è stato il Covid, in cui non s’è fatto teatro, mi si è creato un anno di cinema. L’incontro con Amelio: bellissimo, una persona di una ricchezza inesauribile, sempre presente a se stesso; tu percepisci il suo entusiasmo, è sempre giovane e si stupisce sempre delle cose che gli accadono. Di Braibanti – soggetto del film – anche Carmelo Bene diceva fosse chi gli avesse insegnato a dire i versi, e Amelio ha sottolineato che poesia e vita siano la stessa cosa”.
Luigi Lo Cascio, dal palco del Teatro Petruzzelli, offre un’anteprima di Storielle per granchi e per scorpioni (Feltrinelli), suo libro, in uscita la prossima settimana.
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