CANNES – Interessante, raffinato e ben congegnato Little Joe, il film dell’austriaca Jessica Hausner in concorso a Cannes e in sala con Movies Inspired dal 20 agosto propone una sci-fi horror misurata e alternativa, senza effetti speciali – tranne qualche minimo intervento in cgi – ma con grande tensione supportata da un impianto narrativo efficace e funzionale. E’ l’inizio di un’apocalisse, ma non sapremo mai fino alla fine se si tratta dell’apocalisse personale di una donna sull’orlo di una crisi di nervi, nel dubbio se impiegare il suo tempo per il lavoro che ama o per il figlio, che ama altrettanto, o di un’apocalisse su larga scala, con le piante capaci di impossessarsi della coscienza degli uomini per poter sopravvivere, semplicemente facendogli inalare il proprio polline.
C’è Romero – e in effetti, considerando l’apertura con gli zombi di Jarmusch, sembra che il tema della fine del mondo sia ricorrente in questa edizione del festival – ma non tanto quello de La notte dei morti viventi, quanto quello sottile e psicologico di Season of the Witch, che aveva ancora pochi mezzi, poco budget e doveva fare di necessità virtù. Così viene fuori il cinema, nella fotografia dai colori accesissimi, nel ritmo lentissimo eppure incessante, che fa montare la suspense, nella colonna sonora pulsante e inquietante.
“Il fiore è un simbolo – dice la regista in conferenza – poteva essere una mela o qualcosa da mangiare, ma cercavamo qualcosa di più indefinito e aleatorio. Volevamo che il film avesse in qualche modo un happy ending. Come se gli umani trovassero il modo di convivere con gli zombie. Oppure forse siamo già tutti zombie e non lo sappiamo. Abbiamo certamente rivisto La piccola bottega degli orrori ed è stato un riferimento, ma non volevamo un effetto così kitsch. Volevamo invece usare la cgi in maniera che non sembrasse cgi. Abbiamo cercato di far funzionare la storia in ogni possibile prospettiva. Potrebbe essere una paranoia della protagonista o il vero inizio di un’invasione. E la fotografia ci ha aiutati a rendere tutto realistico. E’ difficile filmare un profumo, così abbiamo lavorato sui colori, anche sfruttando i colori naturali della protagonista, che è rossa di capelli. Quando si annusa questo fiore, cambia tutto, nel senso che cambia la prospettiva in cui lei vede le cose, eppure non cambia niente. Non si ha percezione di essere morti o zombificati o altro. Non ho voluto dare al film una connotazione spaziale o temporale precisa ma presentare un quadro astratto, esistenziale. Alla base c’è questa idea per cui annusare quel fiore rende felici, ma la felicità non è qualcosa che si può trattenere a lungo, tenderà comunque a passare”.
E naturalmente c’è da considerare il peculiare punto di vista femminile e il ruolo di madre: “Nel mio paese – dice la regista – questi argomenti sono quasi tabù. E’ quasi scontato che una donna debba volere figli, ma magari non è così oppure semplicemente una donna può amare tanto i figli quanto il suo lavoro”.
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