‘L’infinito’. Contarello, Sorrentino e l’avvilente rapporto impiegatizio con la scrittura

L’esordio alla regia di Umberto Contarello esce al cinema dal 15 maggio: “Io non ho più niente da dare, solo qualcosa da dire, forse", dice il personaggio protagonista dell’opera prima, in anteprima al Bif&st 2025


BARI – “Io non ho più niente da dare, solo qualcosa da dire, forse”, dice lo sceneggiatore Umberto, personaggio assoluto de L’infinito, opera prima da regista di Umberto Contarello, in anteprima al Bif&st 2025. È un film che cerca poesia e riflessione, anche nella messa in scena di un immaginario interiore, fotografato in bianco&nero, in cui ricorre la figura sorrentiniana della suora, con Socrate, il Natale, la paternità e l’infinito (che si disegna con un monopattino tra le fontane di piazza Navona).

La sensibilità narrativa di Contarello – che porta in scena in primis se stesso – si tesse in un racconto sceneggiato a quattro mani con Paolo Sorrentino: s’ intreccia la dimensione intima e filosofica con una visione contemporanea del desiderio umano di oltrepassare i limiti del visibile e del conosciuto. “Io continuavo a mettere il mio nome nell’impaginazione del dialogo ma dopo tanti anni da sceneggiatore mi ero dissociato dall’idea che scrivere ‘Umberto’ significasse fossi io, per cui ho dato al personaggio la mia caratteristica dell’odio viscerale per le scale e l’amore prono per gli ascensori”.

Il personaggio di Contarello ha indubbiamente un’essenza infantile: per Sorrentino sarebbe “impossibile fare questo lavoro con un trasporto emotivo senza conservare la propria capacità di stupirsi. Col passare degli anni si sfuma ma per raccontare va sempre ripescata: per me non è sorprende che il personaggio sia infantile, sarebbe stato avvilente uno sceneggiatore con un rapporto impiegatizio con la scrittura, sarebbe avvilente anche nella realtà ma molti ne esistono. Noi due ci siamo sempre fatti molto ridere reciprocamente, qualcosa che confina con lo stupore… tipico dell’infanzia; poi, c’è una dimensione della tristezza con un effetto ironico”.

Questa avventura “a quattro mani” – principalmente nella scrittura – “è avvenuta in modo sintetico, questa sorpresa è venuta da Paolo che in – una telefonata lamentosa – mi ha detto: questa volta il film lo fai tu”, cosa che Sorrentino conferma. “Sì, ciclicamente ci lamentiamo, forse più lui con me: decide che il mondo ce l’abbia con lui – sono momenti che passiamo tutti – e lì mi sono detto: ‘cerchiamo di capovolgere questa cosa e renderla proficua’. Così ecco l’idea di questo progetto con lui protagonista, attore capace e dotato: con tutti gli scarti narrativi del caso, è una storia sul periodo che lui stava passando, con riferimenti a Kaurismäki e Jarmush, che tanto abbiamo amato negli Anni ’90, un periodo d’oro con cose formidabili, libere e sgraziate del cinema americano. Non so se sia finito veramente quel periodo o se siamo invecchiati noi ma, da spettatore, faccio fatica a rintracciare la scoppiettante disinibizione, anche di certo cinema europeo”.

L’infinito è una meditazione visiva che esplora la tensione tra il finito e l’eterno, tra la piccolezza dell’umano e la vastità del tempo e dello spazio. La recitazione misurata, il ritmo lento, la fotografia elegante rendono il film contemplativo. Si muove tra realtà e astrazione, spesso con un uso lirico delle immagini e una colonna sonora rarefatta che dà voce al silenzio. L’infinito è anche una riflessione sul presente, sul bisogno di profondità e sulla poesia come strumento per comprendere l’inquietudine del vivere. E Contarello spiega che “volendo fare un film intimo, piccolo, tutte le scelte sono servite per riuscire a costruire il senso di un vuoto che ha una sua densità. Siamo convinti che i momenti vuoti, la noia, in cui apparentemente non succede niente, si percepisca poi… quanto fosse inconsapevolmente fertile. Per me un film è qualcosa che mi dà due ore di oblio, caratteristiche del neofita, quale io sono, e così ho cercato di fare. La risata, poi, fa denudarsi da sé e crea un tono danzante”. C’è proprio, nel film, una frase che recita: “siamo diventati vecchi e con noi il cinema che ci piace”, affermazione che Contarello commenta spiegando come “c’è un periodo di gioventù che è onnivoro. Mi ricordo molto bene che l’ultimo film che a entrambi abbia entusiasmato sia stato Licorice Pizza: ci siamo telefonati dicendo che non capissimo perché ma avesse qualcosa di speciale, ricorda un’atmosfera non datata”.

Per Umberto Contarello, L’infinito significa un mettersi in gioco in toto, essendo appunto anche in scena, decisione avvenuta “nel tempo di una telefonata. Ho il ricordo bellissimo della Venezia del ‘700: era vietato portare il pugnale sotto il mantello, bisognava scegliere tra l’arma e il mantello: si diceva ‘essere in spadino’ quando si decideva per mostrare l’arma; per me il dilemma non è mai esistito se non una sera, quando mi sono trovato davanti a una rampa di mille gradini, che dovevo fare io: mi ero dato una croce e lì ho capito la differenza tra ‘mettersi in scena’ e ‘essere’”.

Inoltre, il film offre anche una più ampia riflessione su “verità” e “falsità”, che Contarello dice sia un binomio che non l’abbia “mai convinto, perché non saprei definirle, sopratutto rispetto a se stessi: ciascuno pensa di essere raccontabile davvero, mentre sono gli altri a intravedere spiragli di verità. Non è un tema di cui abbiamo discusso” con Sorrentino, che si definisce “un assertore del fatto che l’uso di bugie al cinema costituisca il nucleo di una verità: partire da qualcosa che è finzione, lavorare nel falso, crea il vero, quindi qualcosa di interessante; che ci sia dell’autobiografico è meno rilevante. Tante volte ci si è camuffati dietro ai personaggi, ma se messi in maniera diretta sono svuotati di interesse: c’è Umberto nel film, ma elaborato e ricostruito”.

L’infinito, distribuito da Piper Film, esce al cinema dal 15 maggio.

 

 

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