“È un’opera che offre tante chiavi di lettura e tanti possibili ingressi, con la dimensione femminile in primo piano, a partire dalla personalità della regista, allora poco più che esordiente. C’è la protagonista femminile, il rapporto madre e figlia, e una musica non semplicemente narrativa. C’è la natura ostile che ti rimane attaccata addosso, che declina tutti i conflitti del film. Poi c’è la parte psicologica e simbolica. C’è la fiaba gotica e il romanzo classico. È un film giocato sull’opposizione: fosse solo per il pianoforte, lì in prossimità delle onde”, così il critico Piero Spila racconta Lezioni di piano di Jane Campion, che quest’anno compie 30 anni, Palma d’oro a Cannes 1993 e primo riconoscimento del Festival francese a un’autrice (primato detenuto fino al 2021, quando è stata premiata, per Titane, Julia Ducournau).
Le parole di Spila, pennellate sull’opera filmica – e scelte in occasione della prima presentazione del volume omonimo – si tessono e sono non meno efficaci per il libro Lezioni di piano, una monografia che specchia il titolo dell’opera per il cinema, recente pubblicazione della collana I Migliori Film della Nostra Vita dell’editore Gremese.
Il libro, formato poco più che tascabile, al suo interno fa susseguire pagine patinate, di testo e immagini, densissime, di analisi e emozione, registri che i due curatori – Paola Besutti e Gabriele Marcello – hanno scelto per celebrare e addentrarsi ancora una volta dentro questo titolo, con un ennesimo punto di vista, a conferma dell’attualità perenne dell’opera filmica della Campion. “È stata un’impresa” afferma Besutti, docente all’ateneo di Teramo. “Intraprendere una rilettura del film è un impegno, così come rimanere in 200mila caratteri. È una sfida aperta perché il libro è dato ora anche in mano agli studenti, che spesso non hanno visto il film, e vi si devono accostare per richiesta dell’Università; Lezioni di piano ha ancora freschezza, ha moltissimo da dire, è stato molto sperimentale e poco commerciale: possiede un alto grado di divergenza rispetto alle aspettative – come la musica di Michael Nayman -, con Jane Campion che conduce altrove”.
La professoressa Besutti spiega che: “Il vero colpevole del libro è Gabriele Marcello, cultore del film – curatore con lei, collega alla medesima Università – La sfida era interessante, io sono tra coloro che l’ha amato, nonostante la critica avesse stroncato la musica perché ci si aspettava quella delle storie in costume. Nayman compone in grande libertà. Per la critica era melassa, mentre il pubblico l’ama tantissimo ed è il caso rarissimo in cui un autore contemporaneo entra nelle aule. È quindi il pubblico che decreta un successo incredibile”.
Nel film – e così nel volume – c’è un contrasto tra natura e cultura urbana, e poi naturalmente c’è il senso della perdita, fondamentale nella storia: la perdita del dito, della voce, del pianoforte. Per Gabriele Marcello, “è un film fondamentale personalmente, mi ha aperto un mondo: è un film che non dimostra 30 anni, senza una grinza. Lezioni di piano ha sempre un allure potente ed è uno dei film più erotici della Storia del cinema contemporaneo: il dito che sfiora il buco della calza è più di una scena di sesso, e forse solo una donna ci poteva riuscire. È un film femminile ma poco femminista: prende le donne e le rende mascoline e viceversa gli uomini; Ada (Holly Hunter) è il vero uomo della situazione, conduce la scacchiera. La scena del taglio del dito è una chiarissima metafora dell’evirazione; come la bimba con le ali evoca l’angelo del male. È bello che il film a ogni visione porti a riflettere. Jane Campion non si è poi ripetuta, ha aperto la strada ad altre registe per esprimersi in modo differente; una sua erede: Kathryn Bigelow, anche lei abbastanza tosta. I film successivi di Campion non lasciano indifferenti, si amano o si odiano, ma Lezioni di piano rimane un unicum. Fino al suo film più dibattuto, completamente prodotto da Netflix, Il potere del cane: altro unicum, fatto per uno spettatore aperto, che non si aspetta un culmine, e che mostra la grandezza dell’autrice”.
L’essere prezioso del film, così come della sua autrice, s’imprime nelle 145 pagine del libro, sin dalla copertina, un fermo immagine molto intimo: Ada, ombrellino parasole nero stretto nella mano destra, è seduta tra la sua mobilia dinnanzi al mare, con il capo lievemente chino verso il suo grembo, su cui poggia Flora, la sua bambina, in stato di sonno; la fotografia dal film è incorniciata da un blu grafico a due toni, che chiama il mare ma anche il celeste più spirituale dell’animo umano; in fondo alla pagina un virgolettato dal film: “Lei non suona il piano come noi!”, non solo una frase originale, ma la comunicazione specifica che “lei”, ovvero Ada, sia un’eccezione, un profilo non allineabile a un “noi” di esseri umani medi, ma è una stella polare, come l’autrice del film: l’una e l’altra, insomma, due personalità rare, straordinarie.
Come spiega, infatti, la professoressa Besutti: “Ada suona in modo impudico, fuori da qualsiasi regola compositiva: chi suona così in modo non allineato rispetto alle aspettative è ritenuto pericolo. Per Ada la musica è come un flusso di coscienza e per la femminilità questo è un film che, senza essere femminista, dà alla donna le chiavi della narrazione. Quando però il pianoforte viene recuperato da Baines (Harvey Keitel), e comincia a suonare in casa, sembra un tuono, di un amore che potrebbe nascere e nascerà per Baines, che si mette in ascolto. È una figura femminile che si staglia con una forza intatta da 30 anni”.
Il volume, partendo dalla Carta d’Identità della regista del film, passando per una tradizionale Introduzione, si articola poi in tre Prologo, numerati in crescendo: il primo, Genesi di un capolavoro, che restituisce la complessità che s’affronta nell’analizzare un’opera come Lezioni di piano; il secondo, Lei non suona il piano come noi!: scelte musicali di Michael Nyman; il terzo, Adattamento, falso adattamento, film letterario, ovvero una sintesi della parabola del film; poi, c’è il capitolo Il racconto del film, strutturato in 11 sotto capitoli, da Una natura impervia e uno scambio fuori dal normale a Tutte le cose imperfette. Segue poi la sezioni Materiali, dove su quattro paginette di possono leggere 14 estratti di critici internazionali – dai nostri Lietti Tornabuoni e Morando Morandini a Claude Baignerères (“Le Figaro”) e David Stratton (“Variety”) – che al tempo del debutto del film ne scrissero. Così Tornabuoni per “La Stampa” (27 maggio 1993) lo racconta: “… bello, misterioso, violento e squisito … un talento cinematografico raro e forte” e Morandini, parlando della Campion, riferisce della “sensibilità di una donna di oggi che rifiuta l’epica del pessimismo tragico”.
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