Può una sola fortunata bugia salvare la vita di un uomo? Può un guizzo improvviso di ingegno sconfiggere un piano criminale perfettamente studiato, come lo sterminio nazista? È quanto accade in Lezioni di persiano (Persian Lessons) di Vadim Perelman, presentato in Berlinale Special Gala e nelle sale italiane dal 19 novembre con Academy Two, ambientato in un campo di concentramento nella Francia occupata durante il secondo conflitto mondiale. Protagonista l’ebreo belga Gilles (interpretato dal bravo Nahuel Pérez Biscayart, noto al pubblico italiano soprattutto per 120 battiti al minuto) che viene arrestato dai soldati delle SS ma riesce ad evitare l’esecuzione con un tocco di genio: giura alle guardie di non essere ebreo ma persiano. Una menzogna che lo salva, almeno temporaneamente, poiché gli viene assegnata la missione di insegnare la lingua farsi allo chef del campo Koch (Lars Eidinger), che sogna di aprire un ristorante in Iran al termine della guerra. Per sopravvivere Gilles ha un solo modo: inventare ogni giorno parole in farsi fittizio, insegnando così a Koch una lingua che in realtà non esiste.
Un tema, quello della comunicazione attraverso il linguaggio e della sua importanza, che è centrale nell’intero film: man mano che Koach impara la nuova lingua subisce una trasformazione: attraverso il linguaggio inventato è capace di comunicare cose che non potrebbe dire in tedesco. “Il falso farsi permette a Koach di esprimere la sua umanità e mostrare alcune parti di sé che non era in grado di rivelare nella sua lingua madre – sottolinea il regista – Non è una coincidenza che quando Gilles gli chiede “chi sei?” nel falso farsi, non risponde Hauptsturmführer Koch, ma Klaus Koch“.
“Persian Lessons è soprattutto un film sulla verità, sui rapporti umani e sull’umanità – continua il regista – Perché non si limita a parlare solo di nazismo, ma di cosa potrebbe accadere in un situazione come quella. Una situazione, tra l’altro, che potrebbe ancora succedere, in ogni nazione e in ogni tempo”.
“E’ liberatorio parlare in lingue differenti”, conferma l’attore argentino Nahuel Pérez Biscayart che ne film si esprime sia in perfetto francese che in tedesco con un accento francofono. “Una cosa che succede anche a me: alcune emozioni trovano la loro strada più velocemente quando parlo in francese o tedesco rispetto allo spagnolo”.
“Mentre ci preparavamo nel falso Farsi, sono stato impressionato dalla sua capacità fonetica. L’avevo visto la prima volta in 120 BPM e pensavo fosse un attore francese, mi sono stupito nello scoprire le sue origini argentine. Nahuel riesce ad imparare le lingue con una facilità impressionante”, conferma Lars Eidinger che in conferenza stampa a Berlino si era commosso parlando dell’odio che esiste ancora oggi in Germania: “Penso che la nostra società sia molto intossicata dall’odio e dal risentimento, e ciò rende davvero difficile capire se stessi, io cerco di farlo attraverso l’arte e la creatività”, aveva dettovisibilmente toccato, ricordando un testo di Stefan Zweig che parlava di disintossicazione morale dell’Europa dopo la prima guerra mondiale ed esortava a cercare un mezzo per avvicinare le persone e spingerle ad amare. “Internet è esattamente questo mezzo – ha rimarcato l’attore – ma lo stiamo usando con lo scopo contrario. In questo momento possiamo renderci conto del pericolo imminente che la storia si ripeta, e di quanto siamo di nuovo colpevoli per questo, ogni giorno”.
Un altro tema forte affrontato dal film è sicuramente quello della memoria: il falso farsi inventato da Gilles deriva da una parte dei nomi dei prigionieri, che trasforma in parole in lingua straniera, e nel farlo li rende immortali. Il gesto d’inventiva di Gilles rappresenta, dunque, una sorta di rivalsa storica, capace di dare nome, e quindi immortalità, alle tante persone completamente scomparse o rimaste sconosciute, dal momento che molti registri dei campi di sterminio vennero bruciati dai nazisti sconfitti prima di darsi alla fuga.
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