Locale, globale o glocal: qual è il modello migliore su cui devono puntare le produzioni audiovisive italiane per consolidarsi sul mercato internazionale? Ne hanno parlato questo pomeriggio al MIA, il Mercato internazionale dell’audiovisivo, Marco Follini e Rosario Rinaldo, presidente e direttore di Cross Productions, Chiara Sbarigia, presidente di APA e Cinecittà, Riccardo Tozzi, fondatore di Cattleya e Jan Mojto, ceo di Beta Film.
Nella prima parte della discussione, il punto di vista è stato rovesciato. Ci si è, cioè, chiesti quali siano le ragioni dietro la diffusa presenza di soggetti stranieri nel mercato italiano. Secondo Chiara Sbarigia, presidente di APA e Cinecittà, “è successo che per le aziende italiane non c’erano investitori, né c’è stato un particolare interesse a consolidare settori specifici, come stanno facendo per esempio in Francia nel campo dell’animazione”. “Il management italiano – ha chiarito Sbarigia – è rimasto però nelle aziende: più che come acquisizioni, parlerei di alleanze tra produttori e capitali”.
Il fondatore di Cattleya Riccardo Tozzi interpreta questa presenza estera in Italia come un dato positivo: “Se vengono dall’estero a comprare qualcosa in Italia è una bella cosa, una conferma del valore delle opere italiane. E in ogni caso, non mi sento appartenente a un paese di espropriati perché anche Mediaset investe molto all’estero”. Anche secondo Rosario Rinaldo, direttore di Cross Productions, si tratta di un “meccanismo sano di mercato che sta mettendo l’Italia in primo piano per quanto riguarda l’efficacia dei suoi prodotti”.
Tornando a guardare il problema dal versante italiano, Jan Mojto ha citato La Piovra come prodotto che “rimane un esempio felice di quello che ancora oggi si può fare in Europa”. Il segreto di quel successo? “Era locale, globale e aveva un’identità chiara”, ha spiegato il ceo di Beta Films.
I partecipanti al panel hanno concordato sul fatto che la qualità sia parola chiave alla base del processo d’internazionalizzazione. Ma la qualità è a sua volta legata alla dimensione delle aziende. “La qualità non può essere ottenuta – ha sottolineato Rosario Rinaldo – senza le dimensioni produttive adeguate”. E a riprova di questa tesi cita il caso di Rocco Schiavone: “Non ci fosse stato l’apporto anche finanziario di Beta, non si sarebbe potuto fare”.
Per Chiara Sbarigia le grandi concentrazioni, tuttavia, non solo “non risolvono tutti i problemi” ma presentano aspetti problematici “perché, quando si decide in pochi, quei pochi si contendono gli stessi talenti. E questo pone grandi problemi di costi”. La soluzione? “Credo di più nella collaborazione tra piccoli e medi produttori”.
Il presidente di Cross Production Marco Follini, infine, ha evidenziato “la straordinaria occasione rappresentata dal fatto che i produttori sono rimasti i soli ad avere la capacità di leggere l’animo del paese. Il tema è capire come vantaggio da questa capacità di lettura della società italiana”, ha concluso.
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