VENEZIA – Le donne si impongono, alle Giornate degli Autori. Dopo i corti di Alice Rohrwacher e Agnès Varda per Miu Miu Women’s Tales e il documentario di Carlotta Cerquetti sull’Harry’s Bar, sono approdate alla Villa due registe che hanno riflettuto, con intenzioni e declinazioni diverse, sul contributo delle donne all’arte e alla politica. La coreografa Celia Rowlson-Hall ha esordito nel lungometraggio con Ma, una rivisitazione del pellegrinaggio di Maria (interpretata da lei stessa) attraverso il paesaggio desertico del Sud-Ovest. Dal canto suo, la figlia d’arte Leyla Bouzid esordisce a 31 anni con A peine j’ouvre les yeux, ambientato a Tunisi nel 2010, alla vigilia della rivoluzione, e incentrato su una diciottenne determinata a esprimere il suo dissenso attraverso la musica, contro il volere della madre che è consapevole dei rischi che corre.
“Quando è scoppiata la rivoluzione ero a Parigi a lavorare a un mio corto – ha raccontato Leyla Bouzid – mentre i miei genitori erano in piazza: ho vissuto quel momento da una grande distanza ma contemporaneamente immersa nei fatti e preoccupata per la mia famiglia. Ho subito deciso che avrei fatto un film per raccontare la paranoia e il soffocamento della vita sotto uno stato di polizia come quello di Ben Ali, prima della rivoluzione, perché i giovani non dimenticassero quella situazione. Oggi la situazione è cambiata, le parole sono state liberate, ma molti problemi sono ancora da risolvere”.
“Ho scelto di rappresentare Maria perché sapevo che non avrei avuto dialoghi nel film – ha spiegato invece Celia Rowlson-Hall, in passato collaboratrice di registi come Gaspar Noé e Lena Dunham – e la sua icona mi aiutava a comunicare. Volevo raccontare una storia che esprimesse che significa per me essere una donna in questo mondo: sono io che reagisco alle circostanze”. In mancanza di finanziamenti “ufficiali”, Ma è stato realizzato grazie a un crowdfunding realizzato con Kickstarter.
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Il delegato generale della Settimana della Critica, a fine mandato, analizza lo stato di salute del nostro cinema in un'intervista al sito Quinlan. "Il cinema italiano è malato, malato di qualcosa che non lascia sviluppare quei talenti – che a questo punto non so nemmeno più se ci siano – che vogliono rischiare con dei film più coraggiosi. Penso che chi ha le idee si diriga verso altre forme, verso le web series ad esempio, e il cinema d’autore soffra un po’ dei soliti dilemmi". A breve il Sindacato nazionale critici cinematografici indicherà il nuovo delegato generale