Dall’IA alla cancel culture, i bersagli di Quentin Dupieux

Il regista francese usa la fama di divi consacrati come Vincent Lindon, Léa Seydoux, Louis Garrel per irridere il mondo del cinema affidando al suo attore feticcio Raphaël Quenard il compito di sparigliare le carte


CANNES – Non c’è argomento che non sia degno di satira nell’universo parallelo di Quentin Dupieux, il talentuoso dj e regista francese che ama stupire e che il 77° Festival di Cannes ha scelto per aprire la kermesse. Il suo 13° film affronta, in tono da farsa e divertissement, temi come l’Intelligenza Artificiale applicata al cinema, la confusione tra piani di realtà e finzione, il #MeToo e la Cancel Culture, inoltre irride a dosi massicce le nevrosi e le manie degli attori francesi un po’ in stile Call my agent! usando la fama di divi consacrati come Vincent Lindon, Léa Seydoux, Louis Garrel e affidando al suo attore feticcio Raphaël Quenard – un caustico talento da tenere d’occhio – il compito di sparigliare le carte. Dupieux, che scrive, dirige, monta e persino compone le musiche per le sue opere costruisce, nella durata di poco meno di novanta minuti, un giocattolo divertente, a tratti anche troppo divertente, con scene memorabili come la telefonata tra l’attrice in preda a una crisi di nervi e la madre chirurgo che le parla dalla sala operatoria. Altri momenti mostrano un po’ la corda dando l’impressione che il testo sia più adatto a un mediometraggio che a un lungo.

Dupieux è un autore prolifico (l’anno scorso ci ha regalato ben due titoli, Yannick e Daaaali!) che a volte sembra buttare sulla tela i colori alla cieca ma che, al tempo stesso, ha la capacità di far dialogare il suo cinema da un film all’altro. Il fatto stesso che questo si intitoli Le deuxième acte, il secondo atto, fa pensare che sia in qualche modo un seguito di Yannick, dove veniva fatta esplodere una compagnia di attori teatrali messi alla prova da una minaccia a mano armata. In questo caso è il cinema nel cinema a padroneggiare la scena, anche nella sua versione contemporanea affidata allo strapotere dell’algoritmo (e Netflix è tra i coproduttori del film).

La lunga camminata iniziale (alla fine verrà svelato il meccanismo cinematografico sotteso, ovvero un interminabile carrello) ci mostra Willy (Raphaël Quenard) e David (Louis Garrel), due amici che parlano di una ragazza, Florence (Léa Seydoux), innamorata di David e che David vuole rifilare all’amico, il quale sospetta che sia brutta o pazza. Willy ha un eloquio inarrestabile ed è particolarmente scorretto su argomenti come le donne e i gay. Meglio evitare, davanti alla macchina da presa, di toccare certi temi con quel linguaggio. A quel punto scopriamo che Willy e David sono in realtà due attori impegnati in una scena. Come pure Guillaume (Vincent Lindon), e Florence (Seydoux), nella finzione padre e figlia, nella realtà (a patto che esista) due attori alle prese con un copione idiota frutto dell’Intelligenza Artificiale. Un regista robotico è pronto, con straordinaria ostinazione, a dare i voti agli interpreti, applicare penali decurtando la paga a chi sbaglia le battute e, soprattutto, non ascoltare le opinioni di nessuno. Tutti sono scontenti e umiliati, Guillaume, in particolare, sta per mollare il set per girare con Paul Thomas Anderson, che definisce con toni iperbolici “il più grande regista vivente”.

Location della parte centrale del film è il ristorante “The Second Act”, dove un cameriere in preda a crisi di nervi (Manuel Guillot) non riesce a versare il Bordeaux nei calici perché gli tremano le mani. Le gag si susseguono, fino a una svolta in cui gli attori escono dai personaggi, con ribaltamento di senso. David o meglio Garrel, ad esempio, è tutt’altro che gay come nella finzione, anzi è un seduttore pronto a esporre una filosofia ad uso delle sue conquiste: se viviamo non nella realtà ma nella finzione posso venire a letto con te, senza tradire mia moglie.

 

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