La fantastica attualità di Terminator, il film di James Cameron che compie 40 anni il 26 ottobre, è tutta in una questione di date. Fateci caso alla luce del furioso dibattito sull’Intelligenza Artificiale esploso quest’anno: il film prende il via dal lontano 2029 (cioè tra appena cinque anni) quando una A.I. insensibile alle sorte degli umani (la Skynet) scopre che potrebbe avere un micidiale nemico nel figlio di una donna degli anni ‘80. Il futuro eroe della razza umana, capace ancora di ribellarsi alla dittatura delle macchine, si chiamerà John Connor, ma nell’antico 1984 non è ancora nato. Skynet – creata come rete di difesa, ma ormai decisa a scatenare un conflitto nucleare che non lasci prigionieri – ha evidentemente studiato la lezione di Erode ma, più astuta del vecchio re, decide di risolvere il problema alla radice ammazzando la madre del futuro nascituro. Spedisce così sulla terra dell’84 un cyborg con la faccia di Arnold Schwarzenegger a caccia della futura mamma, tale Sarah Connor. Qui però si imbatte in Kyle, un soldato del futuro spedito a difendere la donna che riconosce da una foto affidatagli nel futuro da John, il cristologico salvatore dell’umanità. Seguono esecuzioni in serie (per Terminator tutte quelle che si chiamano Sarah sono da eliminare), inseguimenti su due e quattro ruote, battaglie senza vincitori contro l’indistruttibile cyborg, siparietti amorosi tra Sarah e Kyle (ignaro genitore di John) e finale aperto che ci lascia in dubbio sulla nostra esistenza tra cinque anni. Al concepimento della storia – pare un sogno dell’imberbe James Cameron che stava girando a Roma Piranha 2 e non conosceva gli effetti collaterali della Carbonara – tutto questo sembrava fantascienza pura, materia da B-Movie. Del resto da un regista in erba della scuola di Roger Corman non ci si potevano aspettare derive filosofiche in stile Blade Runner (1982). Riguardato oggi invece, Terminator non è solo un capolavoro futurista che mette in mostra tutto il talento del regista di Avatar, ma risulta una lucida profezia spalancata sul presente, più inquietante degli Androidi di Philip K. Dick (1968) o dei Super Toys di Brian Aldiss (1969). Se c’è qualcuno che ha predetto la potenziale deriva dell’intelligenza artificiale è proprio James Cameron e basterebbe questo per fare del suo film (progetto a cui rimase fedele anche per alcuni dei sequel) un modello insuperato.
Per capire l’impatto di Terminator sul pubblico americano (in una settimana avrebbe conquistato la vetta del box office contro tutte le previsioni del marketing), bisogna tornare proprio a quando il giovane Cameron scrive la sceneggiatura e ne cede i diritti per un dollaro simbolico a Gale Anne Hurd – che poi sarebbe diventata sua moglie – a patto di averne assicurata la regia. Siamo nel 1981, Ronald Reagan è appena stato nominato presidente, John Carpenter, con cui Cameron lavora agli effetti speciali di 1997: fuga da New York, sta per avviare la sua “trilogia dell’apocalisse” con un film esemplare come La cosa; Sam Raimi firma il primo episodio di Evil Dead – La casa, Joe Dante progetta i suoi Gremlins in opposizione al mostriciattolo buonista di E.T. del suo amico Spielberg. E’ l’onda lunga di una generazione di cineasti cresciuta alla bottega di Roger Corman, anarchica nello spirito e ribelle politicamente, cresciuta nell’America degli anni ’70 con gli scheletri del Vietnam nell’armadio del subconscio. Facile capire perché il giovane Cameron (ha 27 anni quando scrive Terminator) trovasse molti freni alla sua idea di un cyborg cattivo e distruttore: il pubblico sembrava volere solo storie ottimistiche anche quando si parlava di fantascienza e i produttori non credevano alla svolta “cattivista” dei fratelli minori di Tobe Hooper (The Texas Chain Saw Massacre è del 1974).
Gli anni ’80 saranno un decennio fortemente contraddittorio nella cultura e quindi anche nella cinematografia americana: l’ottimismo reaganiano diventa un mantra teso a cancellare qualsiasi distonia ideologica, ma proprio per questo genera invece un coro discordante in cui gli autori – ormai indipendenti dal volere degli Studios – cercano vie differenti che, sorprendentemente, attecchiscono nel pubblico. La vicenda di Terminator è in questo senso esemplare. Ceduto il soggetto del film a Gale Hurd, che veniva anch’essa dalla bottega di Corman, il regista deve confrontarsi con possibili finanziatori. In cambio della firma come co-sceneggiatrice al posto del fidato William Wisher Jr. che aveva sviluppato gran parte delle idee innovative del copione, Gale strappa la promessa di distribuzione a una rampante Mini-Major dell’epoca, Orion Pictures. Mancano però i soldi per realizzare il film, pur con budget ridotto e gli unici a prestare orecchio sono i produttori della Hemdale. Anche in seguito a una singolare scenetta che Cameron ama ricordare (al colloquio finale si fece precedere dall’amico Lance Henricksen vestito da cyborg con un improvvisato costume di scena), si trovano i 4 milioni di dollari con cui partire, ma rimane il tema di un protagonista capace di attrarre il pubblico.
A Orion vorrebbero Arnold Schwarzenegger nella parte dell’eroico Kyle, ma il regista non è convinto e gli ritaglia invece la figura del Terminator che parla poco (appena un centinaio di battute con voce da robot) e picchia molto. L’ex culturista, reduce dal successo di “Conan il barbaro”, accetta con poco entusiasmo, pensando che comunque rischia poco sotto la corazza da cyborg: anni dopo per Terminator 3 strapperà un ingaggio da 30 milioni di dollari e dovrà ammettere che quel B-movie dell’84 gli ha cambiato la vita. Detta comunque le sue condizioni: set ritardato di sei mesi per finire “Conan il distruttore” e partner che non lo oscurassero. Dopo molti provini ci si metterà d’accordo sul nome di Linda Hamilton che aveva appena finito “Grano rosso sangue” e aveva tutte le caratteristiche del personaggio così come immaginato sulla pagina. Con un’iniezione di capitale garantito da HBO e una semplificazione del copione per tagliare effetti speciali troppo costosi o set troppo affollati (si girerà a Los Angeles quasi sempre di notte), si partì finalmente a marzo con una tabella di marcia che prevedeva l’uscita in sala a ottobre. In post produzione furono realizzati gli effetti speciali con le scene ambientate nel 2029 e il movimento del telaio scheletrico di Schwarzy realizzato con un pupazzo filmato a Passo Uno. Orion mise in sala il film con la ridotta strategia di marketing dei B-Movies, ma subì l’inatteso assalto degli spettatori che si innamorarono da subito del nuovo film grazie alla tensione adrenalinica che Cameron riusciva a dare ad ogni sequenza. Dopo due settimane in testa al box office nazionale, Terminator divenne un vero caso, capace di sedurre anche la critica più esigente. Nasce così un fenomeno mondiale e uno dei più grandi registi della nuova Hollywood.
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