‘L’amore che ho’: quattro attrici, un’indimenticabile Rosa Balistreri

Lucia Sardo, Donatella Finocchiaro, Anita Pomario e Martina Ziami sono le quattro interpreti della cantautrice siciliana protagonista del film di Paolo Licata, presentato al 42° Torino Film Festival


TORINO – “La cantatrice del Sud”, “la voce della Sicilia”, ma anche la “portavoce delle donne abusate”: Rosa Balistreri è stata tutto questo è molto di più. La leggenda della musica popolare siciliana rivive nel film L’amore che ho di Paolo Licata, presentato Fuori Concorso al 42° Torino Film Festival. Caratterizzato dalle musiche della sua erede naturale, Carmen Consoli (interprete anche di un piccolo ruolo), il film vede ben quattro attrici alternarsi nel ruolo della mitica Rosa, la cui vita viene raccontata in ordine sparso, pezzo dopo pezzo, come a comporre un puzzle di dolore e riscatto, passione e coraggio.

Lucia Sardo la interpreta in vecchiaia, quando la sua popolarità era ormai calante, Donatella Finocchiaro è la Rosa matura, quella del successo a livello nazionale negli anni ’60 e ‘70, Anita Pomario ne interpreta la versione adolescenziale e giovane, gli anni della ribellione, delle violenze subite e dei sacrifici, infine, Martina Ziami è la piccola Rosa nata e cresciuta nella povertà della Sicilia rurale.

“Non volevo fare una fedele ricostruzione dei fatti e del personaggio. – racconta il regista – Cinque ottime interpreti hanno dato una propria interpretazione al personaggio di Rosa e alla sua musica. Hanno veicolato l’anima di Rosa, non la sua stessa voce, ma una loro versione. In molti film biografici di cantanti, senti la voce del cantante originale perché gli attori cantano in playback. Io ho voluto tantissimo far cantare le attrici e far suonare i musicisti che sono in scena. Tutto quello che vedi nel film è vero. Per me è un valore aggiunto e sono molto fiero del lavoro che abbiamo fatto”.

Seppure caratterizzato da molte sequenze musicali, il vero cuore del film si concentra inevitabilmente sulle tantissime difficoltà incontrate nella vita di Rosa, in particolare i tanti abusi subiti da lei e dalle donne a lei vicine. “Le scene forti che si vedono nel film, nella realtà erano ancora più forti. – continua Licata – Abbiamo cercato di romanzare e risulta ancora duro, ma nella realtà tutto era ancora peggio, più cruento. Tanti episodi che non abbiamo avuto modo di inserire. Abbiamo fatto una cernita degli episodi tra i quali si potesse prevedere un filo conduttore, anche narrativo”.

Circondata da uomini impregnati di cultura maschilista, dal padre al marito, attraverso le sue canzoni Rosa ha saputo ribellarsi, fino a trovare un proprio posto nel mondo. “Le persone della mia generazione l’hanno adorata, era la nostra colonna sonora. – dichiara Lucia Sardo – Era una donna di quegli anni.  A volte noi donne siamo costrette a diventare eroine. Non credo che ne avesse intenzione, ma avendo delle doti particolari è stata costretta a diventarlo, quasi senza volerlo. Ha osato sfidare le regole che non voleva riconoscere, è stata questa la sua tragedia. Per fortuna aveva il suo canto, senza il quale non sarebbe sopravvissuta, come accade a tante altre donne”.

Nonostante le quattro attrici e la struttura frammentata, L’amore che ho riesce a restituire il ritratto di una donna naturalmente portata a combattere contro le ingiustizie. Un’artista battagliera e irriducibile che non si è mai arresa, raggiungendo traguardi impensabili per una donna siciliana del suo tempo. Lo sa bene Carmen Consoli, che si è formata ascoltando le sue canzoni: “Quanto era moderna Rosa Balistreri? Si presentava sul palco con un testo di Buttitta, Mafia e parrini si dettero la mano. Lo recitava sul palco vestita da cardinale. Ora c’è una piccola carenza di cantautrici, ma Rosa lo era, scriveva il suo mondo. Negli anni ’70 avevamo una Jodie Mitchell dalla Sicilia che scriveva un pensiero femminile sulle cose”.

Indubbiamente, però, il vero punto di forza del film sono le interpretazioni delle quattro protagoniste, accompagnate da Tania Bambaci nei panni della figlia di Rosa, e Vincenzo Ferrera, in quelli del padre. Quattro modi diversi per rappresentare lo stesso personaggio, ma che riescono ugualmente a mettere in scena con cura e rispetto l’anima di Rosa Balistreri. Seppure la qualità canora della cantautrice fosse impareggiabile, le attrici sono riuscite a rendere emozionanti e credibili tutte le scene cantate, che spesso rappresentano anche cruciali momenti drammaturgici.

“Il denominatore comune di tutte queste Rose è questo conflitto familiare che ha sempre vissuto nella sua vita e questi uomini che ha subito. – dichiara Donatella Finocchiaro – Il suo modo di cantare veniva da tutto questo era il suo grido di rabbia, di dolore e di riscatto. Questo film è importante perché diventa un simbolo, un’icona della donna che si oppone a questo sistema che la voleva zitta, buona e obbediente. Allarga le cosce e basta. Questo le stava stretto, non le apparteneva come donna, come cantante, come essere umano. È stata sempre una ribelle, una femminista ante-litteram. Lei andava sempre contro il potere e a favore della gente emarginata. Il suo canto era a loro favore, era un canto politico. Ha lottato e ha detto no. Può essere un esempio anche oggi per tutte quelle donne che subiscono i propri uomini, i loro datori di lavoro, e che certe volte non hanno la forza psicologica ed economica per ribellarsi. Succede ancora, anche se c’è una rivoluzione culturale in corso”.

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