E’ una delle rarissime occasioni di veder parlare in pubblico Leos Carax, cineasta francese di culto, estremamente schivo e riservato, ospite d’onore del Festival di Villa Medici. Dopo la proiezione del suo secondo film Mauvais Sang (Rosso sangue, 1986) nel Piazzale della Villa, un film che all’epoca affrontava con un plot tra gangster story e sci/fi l’epidemia di Aids (nel film si parla di un virus che si trasmette sessualmente nei rapporti senza amore), nel pomeriggio di venerdì 15 settembre c’è stato un incontro, condotto dalla critica Lili Hinstin. Il 62enne Carax si è lasciato intervistare in un dialogo sussurrato, parlando degli aspetti salienti del suo cinema post Nouvelle Vague, con titoli come Les Amants du Pont-Neuf, Pola X, Holy Motor e Annette, premio per la Regia a Cannes nel 2021 (leggi l’articolo).
Tra i temi toccati, il rapporto con gli attori, in particolare Denis Lavant, che per lui è quasi un alter ego, “ha la mia stessa età e corporatura e fa parte dei quattro o cinque amici a cui non rinuncio mai o quasi mai”, ha ammesso, e con le attrici, tra cui Juliette Binoche che è stata sua compagna e sua musa. Sul tema attori ha raccontato: “La maggior parte dei film che non ho fatto è perché li avevo immaginati con qualcuno che non era disponibile”. E anche “il casting è una cosa violenta, perché si danno giudizi sommari: troppo grosso, troppo alto, troppo piccolo, troppo francese…”.
Attualmente Carax è al lavoro su un progetto autobiografico, C’est pas moi, con la fotografia di un’altra sua collaboratrice stabile ovvero la dop Caroline Champetier. Definito una sorta di ‘autoritratto’, nel quale vengono rivistati gli oltre quarant’anni di filmografia dell’autore a partire dal corto Strangulation Blues del 1980, il film allarga lo sguardo alla società e alla situazione politica attuali.
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