La terra del rancore inesploso

Il film danese-tedesco di Martin Zandvliet presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, esce in sala con Notorius il 24 marzo


Land of mine, un titolo internazionale che suona come un gioco di parole (“terra mia” e “terra delle mine”) per il bello e terribile film danese-tedesco Under sandet, di Martin Zandvliet, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma. Una drammatica pagina di Storia poco conosciuta ai più. Al termine della Seconda Guerra Mondiale le forze di liberazione britannica offrirono al governo della Danimarca la possibilità di arruolare prigionieri di guerra tedeschi per disinnescare quasi 2 milioni di mine disseminate lungo la costa occidentale. Un’imposizione che andava contro la Convenzione di Ginevra del 1929, che vieta di obbligare i prigionieri di guerra per svolgere lavori forzati e/o pericolosi. Ma inglesi e danesi bypassarono le norme della Convenzione definendo quei prigionieri ‘persone arrese volontariamente al nemico’. 2.600 uomini, la maggior parte dei quali ragazzi tra i 15 e i 18 anni, vennero costretti a sminare chilometri di costa. Moltissimi morirono dilaniati dagli esplosivi, o di fame e stenti. Il film sarà in sala il 24 marzo grazie a Notorius, per cui è presente l’ad Guglielmo Marchetti: “L’abbiamo visto a Toronto – dice – e abbiamo subito pensato che fosse necessario distribuirlo anche per far conoscere ai nostri figli, ai nostri ragazzi, la brutalità della guerra anche nelle sue fasi conclusive. Inoltre è un film che insegna il valore del perdono e della redenzione”.

Roland Møller
, al suo primo ruolo da protagonista, interpreta il sergente spietato (ma forse non così tanto) che ha il compito di vigilare sul loro lavoro: “I danesi amano rappresentarsi come quelli che in guerra erano i ‘buoni’ – dice l’attore –  che aiutavano gli ebrei tedeschi a fuggire in Svezia, ma la guerra è guerra per tutti. Nessuno è buono. Quando guardi l’abisso, diceva Nietzsche, l’abisso guarda te. Così i danesi hanno detto ai tedeschi, ‘ora venite a sminare dove avete minato’. E’ un lavoro che andava fatto, ma non molti uomini erano sopravvissuti, così ci mandarono dei ragazzi. Per loro erano il nemico, ma il punto è che se applichiamo sempre la legge ‘occhio per occhio, dente per dente’, resteremo tutti ciechi e sdentati. Ma se provi a sederti e parlare al nemico capirai che ha le tue stesse aspirazioni e ambizioni, e non ti sembrerà poi così pericoloso. Tutto questo nelle scuole danesi non lo raccontano, nei libri di storia non c’è. E’ importante saperlo oggi che in Danimarca abbiamo un governo molto a destra. Cosa stiamo facendo con i profughi? Dobbiamo guardarci dentro e capire chi vogliamo essere. Se non voglio aiutare gli altri, che persona divento? Bisogna fare agli altri quello che vorremmo fosse fatto a noi”.

“La guerra cosa si lascia alle spalle? – dice il produttore Malte Grunert – l’odio per il nemico e le mine pronte a scoppiare. Quasi dodicimila civili al mese vengono uccisi o feriti gravemente, anche oggi, nelle zone di guerra. L’ho scoperto in un articolo che vi accennava brevemente. Naturalmente un film non può essere solo fatto di dramma, violenza e barbarie. Ci sono qui dei panorami bellissimi, che si mischiano alla cupezza della storia, e sono i luoghi reali dove sono accadute quelle cose spaventose. Cerchiamo di catturare i sentimenti del pubblico”.

“Lavorare con i ragazzi – dice ancora Møller – è stato impegnativo. Per loro, all’inizio, era una specie di vacanza. Io cercavo di essere gentile ma poi ho notato che cominciavano a non concentrarsi, e allora ho fatto un passo indietro. Ho capito che dovevo avere un ruolo autoritario. Certo non pretendevo che mi facessero il saluto quando mi vedevano, ma dovevo essere austero. Una volta sono sbottato e gli ho gridato in faccia. C’è da dire che ero nervoso, era il mio primo ruolo da protagonista e in più non recitavo nella mia lingua, che è il danese, ma in tedesco. Poi li ho richiamati attorno a me e ho detto loro: ‘Sentite, mi dispiace di avervi sgridati. Ma dovete capire che questo non è un gioco, stiamo lavorando e dobbiamo fare squadra. Questa è la mia grande opportunità, e non ce la faccio senza di voi. Mi servite. Li ho conquistati perché hanno capito la mia passione. Dopo questo episodio mi bastava schioccare le dita perché loro mi seguissero. Alcune scene le abbiamo improvvisate, ad esempio quando io tratto uno di loro come se fosse il mio cane. La sceneggiatura prevedeva che gli dessi degli schiaffi, ma era troppo. Bisognava scavare meglio, a livello psicologico. Abbiamo lavorato con due sceneggiature, una per gli investitori, e una per noi. Inventavamo spesso, sul momento. Molti pensavano che stessimo facendo una specie di Lawrence d’Arabia, con tutte quelle uniformi”.

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20 Ottobre 2015

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