L’energia creativa, la bellezza vibrante, l’entusiasmo della giovinezza sono le caratteristiche di Papicha e delle sue amiche, donne che si affacciano alla vita nell’Algeria degli anni ’90 e che vedranno minacciate e in qualche caso stroncate le proprie legittime aspirazioni dalla escalation di violenza degli islamisti.
Rivelazione del Festival di Cannes 2019, premiato ai César e amato dal pubblico francese, ma bandito per motivi non chiariti in patria, Non conosci Papicha, opera prima di Mounia Meddour ha un grande impatto emotivo, toccando temi dichiaratamente femministi in una vicenda mai didascalica ed estremamente carnale. Le giovani interpreti, tra cui la protagonista Lyna Khoudri (che vedremo in The French Dispatch di Wes Anderson) lasciano il segno con la loro spontaneità e l’uso di tanti registri emotivi che vanno dalla gioia alla disperazione, dalla rabbia alla rassegnazione.
Nell’Algeria degli anni ’90, Nedjma (soprannominata Papicha) studia francese all’università – un campus tutto femminile circondato da mura che diventano via via sempre più alte e invalicabili – e sogna di diventare stilista. Le sue creazioni molto all’occidentale vanno a ruba nelle discoteche della zona con giovani clienti felici di valorizzare la propria femminilità. Ma è proprio questa femminilità uno dei bersagli, se non il principale, del fondamentalismo religioso. Le donne devono stare a casa, sottomesse ai mariti o ai padri, e vestire in modo “appropriato”.
E’ solo un aspetto del cosiddetto “decennio nero”, il conflitto sorto tra il governo algerino e vari gruppi islamisti armati a partire dal 1991, durante il quale sono state uccise oltre 150.000 persone, con migliaia di esiliati e circa un milione di sfollati. La crisi economica di fine anni ’80, legata al crollo del prezzo del petrolio, radicalizza le posizioni. In prima linea c’è il Fronte Islamico della Salvezza (FIS) che vince le elezioni amministrative nel 1990. Ne consegue un colpo di stato militare che mette il FIS fuori legge: ma dalle sue ceneri nascono il Movimento Islamico Armato (MIA) e il più radicale Gruppo Islamico Armato (GIA). Inizia una stagione di terrore con omicidi, rapimenti e violenze: nel 1997 il GIA arrivò a sterminare interi villaggi (Uomini di Dio di Xavier Beauvois era incentrato ad esempio sull’assassinio dei monaci cristiani di Tibhirine avvenuto nel 1996).
Nedjma e le sue amiche, con la loro libertà ed esuberanza, sono vittime designate di questo clima. Assistono alla diffusione dei volantini in cui si sostiene che le donne devono coprire il corpo e il volto, sono oggetto di pesanti aggressioni da parte di gruppi integralisti femminili, in mensa si accorgono che qualcuno mette il bromuro nei loro piatti, spesso devono scegliere tra l’amore e l’indipendenza. Istruita e vivace, ma profondamente legata alla sua terra e alla sua cultura, la giovane fa della sua passione per la moda una bandiera di ribellione, ispirando una collezione di abiti agli haïk, grandi tessuti bianchi di seta e lana con cui tradizionalmente si avvolgono le sue conterranee. La sua sfida tocca nel segno e suscita la violenta opposizione dei fondamentalisti.
“Ho studiato in Algeria in un campus molto simile a quello del film e nella stessa epoca – racconta la regista – A metà del cosiddetto decennio nero la mia famiglia ha deciso di lasciare il paese. Mio padre Azzedine Meddour, anche lui regista, aveva ricevuto minacce come altri intellettuali”. E prosegue: “La passione per la moda di Nedjma è il simbolo di questa battaglia contro il fondamentalismo islamico, del desiderio di valorizzare il corpo femminile piuttosto che nasconderlo. E mi affascinava l’idea che per la sfilata finale Nedjma decidesse di disegnare degli haïk, le vesti bianche tradizionali algerine, molto semplici e economiche, che rappresentano alla perfezione un’idea di purezza e eleganza”. Girato in Algeria, il film ha tra i suoi valori il linguaggio parlato, che unisce arabo e francese nella interessante lingua françarabe.
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