La prima volta delle BR, una figlia indaga sulla morte del padre


VENEZIA – Il 17 giugno 1974 a Padova il terrorismo italiano imboccò una strada senza ritorno. Le Brigate Rosse, che fino a quel momento si erano limitate a gesti dimostrativi, uccisero per la prima volta. Le vittime furono due militanti del Movimento Sociale sorpresi dentro la loro sede da un commando brigatista. Ma dietro quel fatto storico c’è anche, come sempre, un risvolto personale. Uno dei due missini aveva una bambina di tre anni. Questa bambina si chiamava Silvia Giralucci ed è oggi una giornalista impegnata su molti terreni del sociale. Ma nel suo cuore e nella sua mente si agitano fin dai primi ricordi degli interrogativi: chi era mio padre? Perché è stato ucciso?

 

Silvia ha deciso di affrontare il problema cercando non solo e non tanto le testimonianze su un fatto che la magistratura ha già giudicato. Le interessava di più l’aspetto umano e soprattutto la ricostruzione del momento storico in cui quell’omicidio avvenne. E il documentario Sfiorando il muro, presentato fuori concorso a Venezia è proprio questo. Apre tante porte ed è un viaggio al tempo stesso catartico (per la protagonista) e conoscitivo (per tutti i giovani che lo hanno visto e che lo vedranno). “Ho cercato molti nomi di ogni parte politica, pochi mi hanno risposto forse perché i morti erano militanti di destra e quindi ritenuti minori rispetto ad altri”, dice Silvia. Ad esempio, il leader dell’Autonomia Toni Negri non ha accettato di farsi intervistare, e come lui molti altri militanti della sinistra extraparlamentare del tempo. Ma un ex militante che oggi vive a Parigi ha accettato di incontrarla e le ha raccontato come un ragazzo giovanissimo partecipasse a manifestazioni violente pensando che la rivoluzione fosse dietro l’angolo. Quella testimonianza, assieme e alle altre (un professore ferito dalle Brigate Rosse, il giudice Calogero che indagò sull’estremismo di sinistra, un militante di Potere Operaio poi passato al sindacato e per questo minacciato dai suoi ex compagni e una militante missina) raccontano in prima persona fatti lontani che non devono essere dimenticati.

 

Dice ancora la Giralucci (il cui film uscirà nelle sale a dicembre distribuito da Microcinema): “Ho concepito questo film come un viaggio. I viaggi sono impegnativi ma dopo se ne sa di più su molte cose. L’ho pensato per il dialogo, per il rispetto della vita e anche per la memoria. La memoria che io, orfana a tre anni, non ho potuto avere e che mi sono costruita passo dopo passo, anno dopo anno”. Il film mescola testimonianze dal vero e materiali d’epoca: ci sono naturalmente documentari e cinegiornali. Ma forse le sequenze più toccanti sono dei super8 famigliari che raccontano una famiglia fatta di sole donne, visto che il padre era stato ucciso. E anche su questo la testimonianza dell’autrice è toccante: “Intorno a me la famiglia ha fatto scudo, ha voluto che io soffrissi il meno possibile per quella privazione. Ma io ho voluto sapere lo stesso e sono contenta di averlo fatto. Oggi non mi considero di destra e neanche di sinistra. Sono impegnata con un quotidiano ma anche con una rivista che si occupa di carceri. Le persone che mi hanno voluto parlare, e anche quelle che non hanno voluto farlo, mi hanno arricchito. Ma è un lavoro che voglio continuare. Su quegli anni non si sa molto, soprattutto non si sanno le storie di tutti i giorni. Credo siano fondamentali per conoscere bene quel periodo passato alla storia come anni di piombo”.

03 Settembre 2012

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