Chi lo ha detto che il rosa è da femmine? Forse, a passare il vero messaggio femminista, non è stato Barbie di Greta Gerwig, bensì l’attesissima performance della canzone candidata agli Oscar di Ryan Gosling con I’m just a Ken. Lui, sul palco del Dolby Theatre durante la notte più attesa dell’anno ha letteralmente brillato e la platea ha gradito la performance.
Il brano cantato da Gosling, nonostante abbia ceduto il podio nella categoria miglior canzone originale a What Was I Made For? con le musiche e il testo di Billie Eilish e Finneas O’Connell, resta uno dei momenti più sensazionali di tutta la cerimonia della 96esima edizione degli Academy Awards. Perché? Beh, non solo perché ha riempito di colore e ironia il palco più bramato di sempre ma anche per il messaggio che ha portato: la proclamazione, l’accettazione e il trionfo del maschio fragile che rompe, almeno agli Oscar i dettami della mascolinità tossica, quella virile con il fallocentrismo come unica narrazione.
Certo, il palco viene sempre dominato da Gosling, dunque un uomo, ma che accetta e accoglie la fragilità dei paradigmi di mascolinità stereotipica portati avanti finora. In questa prospettiva rovesciata, Gosling ha omaggiato una delle icone femminili più reificate della storia di Hollywood, la splendida Marilyn Monroe. Non a caso People in un articolo scrive: “Pink is Ryan Gosling’s best friend!”, un gioco di parole che racconta del tributo di Gosling a una delle performance più amate della storia, quella di Diamonds Are a Girl’s Best Friend di Marilyn Monroe nel film Gentlemen Prefer Blondes del 1953 di Howard Hawks. L’omaggio all’attrice non ha solo vestito Gosling con un completo di Gucci rosa strapieno di cristalli scintillanti, ma ha influenzato anche la coreografia. Nella sequenza dell’iconico film, l’attrice affascinava il pubblico con un magnifico abito rosa acceso circondata da ballerini uomini vestiti con completi neri con dettagli e cravatte rosa abbinati. Allo stesso modo, la performance agli Oscar di Gosling, ha optato per la medesima composizione, con un’unica differenza: sullo sfondo i ballerini sono dello stesso sesso del frontman.
Lontana dunque quell’immagine del prototipo di donna del cinema classico circondata da uomini che la riempiono di gioielli e abiti di lusso “rendendola felice”. Ora, in I’m Just Ken, l’uomo patriarcale da manuale compiange e si lamenta di vivere ai margini di una società decisamente più proiettata, rispetto all’epoca del film di Howard Hawks, allo sdoganamento di tutte le frivolezze stigmatizzate dell’essere femminile.
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