Respiro lento, sguardo fisso sulla preda e sviluppate capacità cognitive sono le caratteristiche imprescindibili di un serial killer di professione. Immaginiamo: bisogna rintracciare la vittima, capire i suoi orari, i luoghi che frequenta, compiere il delitto e infine far sparire il corpo senza che nessuna traccia vi rimanga sulla scena del crimine. A fare da padrona a un lavoro tanto sporco quanto meticoloso, non può che essere la memoria.
In La memoria dell’assassino diretto e interpretato da Michael Keaton, John Knox è un anziano killer che, dopo una vita passata a rintracciare, uccidere e compiere delitti a regola d’arte, scopre di essere affetto da una gravissima demenza, la malattia di Creutzfeldt-Jakob, destinata a degenerare nel giro di poche settimane. Non è dunque un vecchio nemico saltato fuori dal passato ad accanirsi contro un assassino destinato alla pensione, bensì la cosa più cara a un sicario: la sua memoria.
Tra le notti passate alla guida della sua auto sulle note di un malinconico sassofono di memoria noir, è l’uccisione involontaria, di un suo collega e amico a far rendere conto a John della velocità con cui corre la malattia neurodegenerativa che gli impedirà ben presto di operare autonomamente nei suoi incarichi. Alla soglia delle sue prestazioni intellettive, l’uomo concepisce che dovrà muoversi in fretta per sistemare i suoi affari e monetizzare i beni preziosi collezionati in una vita di lavoro sporco. La triste notizia non può che condividerla con i suoi amici più stretti dell’ambiente corroso che frequenta: una escort (Joanna Kulig) che incontra ogni giovedì da quattro anni, e Xavier (Al Pacino), un ladro anziano che passa la giornata tra la vasca da bagno e la poltrona con bella vista sulla moglie con la metà dei suoi anni.
La strategia di uscita di Knox viene però interrotta quando suo figlio Miles (James Marsden) che non vede da anni, si presenta in preda al panico alla sua porta, coperto dal sangue dell’uomo che ha violentato e messo incinta sua figlia sedicenne. Come solo un freddo sicario può, l’uomo reagisce in fretta per cercare di rimediare all’atto di ira compiuto dal figlio ma il piano chiederà molti più sforzi di quanto si possa credere. La scena del crimine è troppo compromessa e Knox dovrà mettere in atto un piano che richiede grande strategia per poter salvare suo figlio e riuscire a coprire l’omicidio, ancora una volta, a regola d’arte.
Ad opporsi a questo ultimo incarico criminale, oltre alle indagini della polizia sempre più vicine alla risoluzione, non si oppone nessuno, ad eccezione dell’unica vera nemica della narrazione, ovvero la memoria. Ogni passo, sapientemente studiato da Knox, vacilla tremendamente quando l’uomo con difficoltà riesce a tenere legati assieme i lembi della memoria che gli restano. Solo un piccolo taccuino su cui trascrive e rilegge di continuo i passaggi potrà aiutarlo a mantenere la traiettoria del suo piano contro i vuoti di memoria sempre più frequenti.
Knox non ha mai conosciuto sua nipote, non parla con nessuno della sua famiglia da anni e la richiesta d’aiuto da parte di suo figlio diventa la grande svolta per potersi redimere. A sostegno di una traiettoria narrativa che sfiora, vagamente, l’esplorazione del rapporto padre/figlio, solamente gli sforzi estremi di un uomo alla deriva la cui mente si rifiuta di restargli salda. Nessun dialogo risanatore, ad eccezione della sequenza finale dove però, la memoria di Knox ha ormai ceduto. Nonostante lo storytelling non predisponga di grandi strutture di tensione, sul piano tecnico il senso della perdita cognitiva si esprime attraverso le frequenti soggettive tremolanti e sovraesposizioni che riescono comunque a immergere lo spettatore nella mente sempre più confusa di Knox, facendogli vivere l’amara esperienza dell’amnesia, fino alla perdita totale.
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