Doctor Strange nel Multiverso della Follia, in sala dal 4 maggio, è il primo grosso cinecomic Marvel a uscire dopo il bagno di gloria di Spider-Man: No Way Home – tra l’altro, sarebbe dovuto uscire prima di quest’ultimo ma è rimasto bloccato dal Covid, e a un occhio attento, in alcuni snodi della trama si nota – ed era molto atteso: dai Marvel fan, ovviamente, perché i Marvel fan attendono ogni film Marvel con grande trepidazione, altrimenti non sarebbero fan, ma anche perché preludeva, con questa chiave del Multiverso che agevola gli scambi tra franchise, all’arrivo di molti personaggi attesi nel Marvel Cinematic Universe. Ma era atteso anche dai cinefili, perché segna il ritorno di Sam Raimi al cinema blockbuster dopo il suo abbandono della saga di Spider-Man nella prima decade degli anni Duemila e il clamoroso – e ingiustificato – flop de Il grande e potente Oz.
Un annunciato “cinecomic d’autore”, insomma, che forse però non centra esattamente questo obiettivo, ammesso che volesse farlo.
Il film si comporta in maniera forse diversa da quello che ci si sarebbe aspettati, relegando il fanservice Marvel a una parte centrale, la strizzata d’occhio definitiva allo star system a uno dei post finali e permettendo a Raimi, che ha dichiarato di aver avuto ‘la massima libertà creativa nei termini del rispetto della continuity’ di autocitarsi spesso in particolar modo nella seconda parte, che è tutto un richiamo alla sua maestria nel campo dell’horror.
Però non c’è il Raimi sperimentatore e visionario, c’è solo un Raimi consapevole di sé stesso che usa al meglio lo spazio concessogli – nell’ambito della massima libertà creativa – per ricordare chi è al pubblico, ma soprattutto a sé stesso. A volte il tutto può risultare un po’ confusionario, più di quanto non lo fosse Spider-Man: No Way Home, tra versioni alternative dello stesso personaggio e riferimenti che solo una certa fetta di fandom può capire, ma la trama è in verità piuttosto lineare.
La villain, ma se vogliamo una vera protagonista alternativa, è la Scarlet Witch/Wanda Maximoff di Elizabeth Olsen, impazzita di dolore dopo i tragici eventi della serie Wandavision e in più posseduta da un libro magico che corrompe l’anima. Vuole recuperare i suoi figli e vede nell’esistenza di tante dimensioni parallele, e soprattutto nella scoperta di una ragazza che può attraversarle ma senza controllare il suo potere, un’occasione per essere felice. Ma viaggiare per le dimensioni non è una cosa che si possa fare senza rischi e dunque allo stregone Stephen Strange sta il compito di fermarla e farla ragionare, possibilmente senza eliminarla fisicamente. Anche lui, però, ha i suoi problemi e le sue insicurezze, per cui la missione diventa particolarmente ardua.
“Quando Kevin Feige, chief dei Marvel Studios, ha annunciato di voler inserire qualche elemento horror in Doctor Strange, l’idea mi è sembrata interessante – spiega Raimi – Ho sempre considerato l’orrore e la suspense due aspetti molto divertenti dell’arte cinematografica. Una delle ragioni per cui sono interessato al personaggio di Doctor Strange è la sua natura di mago. Da ragazzo, mi esibivo come prestigiatore in feste per bambini e matrimoni. Adoravo creare illusioni. Per questo motivo trovo particolarmente interessante un supereroe che è un illusionista e un mago”.
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