La cultura cinematografica tra i festival e i “Cahiers de la Politique”


FIRENZE – E’ alla fine degli anni ’60, sulla scia di quanto accade in Francia, che anche nel nostro paese si comincia a parlare di “cultura cinematografica”. In pochi anni, sotto l’impulso degli studiosi e grazie all’impegno degli autori, delle associazioni culturali e di nuove rassegne, si diffonde in tutto il paese l’attenzione ai temi, ai contenuti e ai linguaggi del cinema, quasi ignorati fino ad allora. Un processo di acculturazione, potenzialmente foriero di interessanti sbocchi nell’insegnamento e nella diffusione televisiva del cinema, che però non è mai stato portato a termine, venendo invece soppiantato da un sistema alternativo dominato dai contenuti e dai linguaggi di un’altra tv, quella commerciale. Nell’Italia di oggi, dominata dai nuovi media e dalla cultura della globalizzazione e della delocalizzazione, ha ancora senso parlare di cultura cinematografica? I festival possono essere ancora considerati le sue riserve e i suoi snodi di diffusione? Qual è il loro ruolo?

Di questo e d’altro si parla durante il convegno “La cultura cinematografica e i festival internazionali” che si svolge nel corso di France Odeon, festival di cinema francese di cui CinecittàNews è Internet Media Partner. L’evento è organizzato in collaborazione con Florens, Biennale Internazionale di Beni Culturali e Ambientali, che si inaugura proprio oggi per restare fino all’11 novembre. Prestigiosi i relatori, moderati dal direttore di France Odeon Francesco Ranieri Martinotti. Sul palco ci sono Piers Handling, direttore del festival di Toronto, il critico Aldo Tassone fondatore di France Cinema, progenitore del festival attuale, il docente di storia della comunicazione all’Università di Macerata Giovanni Martines Augusti, Gilles Duval, CEO di Groupma foundation for Cinema, il presidente della Mostra internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro Bruno Torri, Giorgio Gosetti direttore delle Giornate degli Autori di Venezia e lo sceneggiatore Andrea Purgatori, oltre all’ospite speciale della kermesse, e da quest’anno anche suo presidente onorario, l’ex ministro della cultura francese Jack Lang.

 

Il saluto d’apertura è di Nicola Borrelli, direttore generale cinema del MiBAC, che sottolinea “l’importanza che il cinema venga accolto al pari delle altre arti in una manifestazione prestigiosa come Florens”. Le premesse le dà il presidente di France Odeon Riccardo Zucconi: “proprio durante la scorsa edizione di Florens è stato dimostrato come ogni euro messo in cultura ne frutti in tempi brevi 2,75”.

Nessuno meglio di Lang, che alla cultura ha dedicato la sua vita, prima come responsabile del settore del partito socialista e poi come ministro del governo Mitterrand, è adatto ad analizzare il tema della cultura cinematografica. “Le opere dello spirito come i libri o i film – dice – non possono essere trattate come merce ordinaria. Meritano una politica apposita e un’apposita legislazione, con un regime fiscale pensato per loro. Le opere d’arte sono fragili e richiedono tempo per nascere e trovare il loro pubblico, e a questo serve un adeguato supporto economico. Ebbene, in molti paesi europei sono trattate peggio della merce qualsiasi, quasi come se l’arte e la cultura non avessero diritto di esistere. La classe dirigente parla tanto di economia, ma di che economia possiamo parlare se tagliamo la sua fonte, ovvero l’inventiva? Anche le scoperte di biologia e fisica vengono da intuizioni che sono figlie della cultura e della sensibilità, la stessa che muove i cineasti. Abbiamo tra le mani la gallina dalle uova d’oro e sprechiamo tutte le sue risorse. Pensiamo alla Grecia, dove gruppi privati si fanno avanti per acquistare il Partenone. E’ assurdo. Ci vorrebbe una rivolta, delle manifestazioni in tutta Europa. Siamo a Firenze, pensiamo a Lorenzo de’ Medici, che aveva una cultura completa: parlava molte lingue, praticava la filosofia, l’arte e la musica. Ebbene, tutti i giovani dovrebbero aver diritto a una formazione così completa. Oggi bambino dovrebbe essere un piccolo principe, non costa poi così tanto. La cinefilia dovrebbe essere insegnata nelle scuole già dai primi anni dell’infanzia. Per ciò che riguarda l’Italia, mi sono chiesto come sia possibile che il meraviglioso cinema italiano sia andato parzialmente distrutto e mi sono risposto che la responsabilità sia da attribuirsi all’avvento delle tv commerciali, che hanno banalizzato il cinema, cannibalizzandolo e ingozzando il pubblico con troppi prodotti, e spesso scadenti. La comunità cinematografica italiana si è sentita tradita”.

“E’ vero – risponde Handling – il cinema non è solo un prodotto commerciale, ma l’espressione di chi siamo. In questo i festival hanno un ruolo importante. Ognuno deve trovare il suo modello. Cannes e Venezia sono basati sulle star, mentre Berlino parla più ai media e alla critica. E’ anche un problema di fondi. Io sono invidioso della libertà che hanno altri festival. Noi però ci muoviamo con finanziamenti che sono per lo più privati e dobbiamo porre il pubblico e la vendita di biglietti al centro del nostro interesse, senza aver paura delle nuove tecnologie, ma anzi sfruttandole a nostro vantaggio. Perché credo che, comunque, internet non sarà mai in grado di replicare l’esperienza di un festival, che è anche e soprattutto momento di incontro tra appassionati e possibilità di interagire con attori e registi”.

Ad affondare il ‘colpo’ sull’Italia, è invece Purgatori, che specifica: “Veniamo dall’esperienza di un primo ministro che ha costruito la sua fortuna anche sul cinema, e che al cinema non ha dato indietro nulla, nemmeno una piccola parte. Non si tratta solo di tv commerciale, ma anche di costante e massiccia utilizzazione di opere culturali, con profitti miliardari, senza un minimo di restituzione. Dirò le cose al contrario: in questo paese la Fiat, per costruire automobili, riceve l’equivalente di 5.000 anni di finanziamento per il cinema. Quando, come abbiamo detto, un euro investito in cultura ne frutta 2,75. Come autori, abbiamo trovato interessante la lezione della Francia, che ha dato al cinema la capacità di continuare anche in un momento di crisi, e questo è stato possibile proprio perché si è richiesta la restituzione di una parte di profitti a chi ha sfruttato le opere cinematografiche. E’ semplicemente buon senso. L’altro paradosso è che noi siamo in continua campagna elettorale ma la parola ‘cultura’ nessuno la pronuncia. A Venezia cerchiamo, con le Giornate, di diffondere il cinema indipendente e dare una mano alle produzioni più piccole, ma non può bastare, se non c’è supporto da parte del sistema. Quindi, oltre ai Cahiers du Cinéma, sfogliamo anche i Cahiers de la Politique, perché in questo momento, mi sembra siano bianchi”.

autore
03 Novembre 2012

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