Era il 1973 quando su un campo di terra rossa si confrontavano la campionessa mondiale femminile di tennis Billie Jean King (Emma Stone) e l’ex campione maschile (Steve Carell), scommettitore di professione, Bobby Riggs. Il titolo del film, La battaglia dei sessi, recita espressamente quella che fu la definizione data allora al confronto sportivo, anche eccezionale evento televisivo con oltre 90 milioni di spettatori nel mondo. Eppure, quella che ufficialmente fu una battaglia a suon di racchette e palline, nella realtà fu una battaglia personale e sociale di importanza fondamentale. Quel confronto non si limitò al campo da tennis ma in quel periodo, e ancora oggi, ha generato un riverbero nella società, una discussione su uguaglianza, sessualità, celebrità mediatica e riservatezza personale.
Grande la somiglianza degli interpreti, già citati, con i protagonisti reali della vicenda, che va sommata alla prova recitativa di buon profilo. Alla regia troviamo Valerie Faris e Jonathan Dayton (Little Miss Sunshine, 2006), coppia nella vita e sul set: i due hanno incontrato la stampa a Roma, raccontando il loro terzo lungometraggio, sin dalla sua materia prima, infatti il film è stato girato in pellicola 35mm, come racconta Valerie: “Per noi era importante dare il giusto look, quello degli anni ’70. Queste bobine di pellicola da 11′ in un certo senso costringono a essere più concentrati e precisi, succede anche per il cast”. Puntualizza Jonathan: “Abbiamo usato anche obiettivi e zoom originali dell’epoca”.
Gli anni ’70, non solo uno specifico momento storico, ma anche sociale, perfetto per raccontare quello che i registi desideravano. Nel film Billie Jean sostiene che le donne non vogliono essere migliori, ma chiedono rispetto. Faris e Dayton sono riusciti a mantenere in equilibrio più poli della storia: “Quello che ci ha attirato della vicenda è stata la sua complessità. Anzitutto la storia personale di Billie Jean. Pur con travagli interiori, lei continuava a combattere per ottenere la parità di salario. È stato interessante far sì che nessun tema oscurasse gli altri. Inoltre volevamo poter attirare un pubblico più ampio, non solo chi già ritiene sia giusta la parità economica alle donne. Volevamo fosse intrattenimento ma desse consapevolezza su queste tematiche. È stato un grande lavoro di bilanciamento, la sfida più grossa per noi. Volevamo un film che mostrasse soprattutto una cultura che costringeva Billie Jean a vivere in un mondo che opprimeva l’omosessualità. Questa è stata una delle principali ragioni per cui abbiamo voluto raccontare questa storia. La nostra sceneggiatura è basata sulla filosofia di Billie: studiare l’avversario. Dopo quell’incontro, infatti, lei ha iniziato a voler bene a Riggs e volevamo rappresentare anche quello”.
Un messaggio sostenuto, con loro, dalla stessa Billie Jean, quella reale, che: “è stata coinvolta dalle primissime fasi, già in corso di sviluppo sceneggiatura. Ha partecipato alla promozione del film. È stata una componente del team di promozione: positiva, coinvolgente. In America è guardata e trattata con grande rispetto”. Un rispetto e un’ammirazione per la sua forza nel farsi portabandiera di temi importanti per le donne, ma anche il suo essere icona sportiva, aspetto che non manca, anche in termini di tecnica e messa in scena nel film: “Era molto importante rappresentare il gioco in maniera corretta, abbiamo studiato il match originale molto dettagliatamente. Steve e Emma si sono allenati, ma non potevano essere a livello di giocatori mondiali, per cui abbiamo usato delle controfigure, che hanno a loro volta studiato lo stile del ’73”. Un’attenzione peculiare quella verso il tennis, affinché fosse mostrato come meritava, infatti: “Abbiamo usato un consulente, per lo studio della competizione, per la regia, le riprese. Il vero allenatore di Riggs ci ha fornito consulenza, ha aiutato Carell a giocare come lui. Tutte le scene di tennis giocato sono vere, non ci sono palline ricreate al computer”.
Indubbiamente il grande studio e l’attenzione non sarebbero stati sufficienti se ad interpretare King e Riggs non ci fossero stati una convincente Emma Stone e uno strepitoso Carell, di cui Valerie Faris e Jonathan Dayton hanno detto: “Sono stati da sempre la nostra prima scelta, fin dall’inizio. Abbiamo avuto la fortuna che abbiano accettato di recitare la parte”. Fondamentale anche la sceneggiatura, firmata da Simon Beaufoy, già autore di The Millionaire.
Non poteva infine mancare un riferimento all’attualità, alle accuse di molestie cadute su Hollywood in questi giorni, con un’eco nella politica presidenziale americana: “Persone come Donald Trump e Harvey Weinstein mostrano come certe cose non siano affatto cambiate nonostante le tante battaglie. Personaggi così ci sono poi ancora oggi in ogni paese del mondo. E la candidatura di Hillary Clinton alla presidenza degli Stati Uniti dimostra come il match uomo-donna non si sia mai davvero esaurito, ma solo trasferito in politica”.
Il film è stato presentato a settembre al TIFF di Toronto ed esce in sala il 19 ottobre, distribuito da 20th Century Fox, vietato ai minori non accompagnati, per “contenuti sessuali e nudità parziale”.
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