VENEZIA – Là-bas per dire laggiù. L’Europa, la frontiera dove tutto diventa possibile. Quasi sempre il luogo della disillusione per chi arriva carico di speranze, contagiato dal virus dell’emigrazione. Là-bas Educazione criminale s’intitola l’opera prima di Guido Lombardi, presentata alla Settimana della Critica, un film italiano ma “straniero”, parlato in francese e ambientato nella più africana tra le città europee, come Roberto Saviano definisce Castel Volturno. Protagonista di questa storia di migranti all black è Yssouf, un ragazzo che sogna di fare lo scultore e arriva lì, a 30 km da Napoli, per guadagnare abbastanza da avviare la sua attività di artigiano-artista. Ma quasi subito impara la dura lezione: se vendi fazzoletti al semaforo guadagni 10 euro al giorno, se vendi cocaina ne guadagni 100 all’ora. Come si fa a non scegliere lo spaccio? Tanto più che lo spaccio ce l’ha in famiglia perché lo zio è il boss di un piccolo traffico.
Racconta il regista: “A Castel Volturno non vivono solo ventimila africani, almeno la metà dei quali clandestini, ma anche alcuni italiani che hanno fatto la stessa scelta. Per molti anni sono stati in pace, si sono spartiti gli affari, i neri hanno pagato una specie di canone alla camorra che controlla il territorio”. Poi il 18 settembre del 2008 la tregua si è spezzata. Un commando di camorristi ha fatto irruzione in una sartoria di immigrati sparando all’impazzata: un centinaio di proiettili esplosi, sei ragazzi uccisi, uno ferito gravemente. Il film, però, non è partito da lì. “Stavo lavorando su questo tema da tempo, dopo aver conosciuto alcuni africani della scena hip hop napoletana, in particolare due di loro, Kader Alassane e Moussa Mone, rispettivamente Yssouf e lo zio Moses nel film. Volevo affrontare il tema del rapporto con la delinquenza locale nell’area Domiziana anche a partire da un libro come Mafia Africa di Sergio Nazzaro”. Oggi, racconta ancora il 36enne regista, due volte vincitore del premio Solinas, la mafia nigeriana è la terza nel mondo, mentre quella italiana è retrocessa al sesto posto. “Decisivo è stato lo spostamento della rotta della coca dalla Spagna all’Africa”.
L’immigrazione sembra essere uno dei temi caldi nel cinema italiano presente a questa edizione della Mostra, da Terraferma a Cose dell’altro mondo, eppure non è stato facile produrre Là-bas. “Prima di incontrare Dario Formisano e Gaetano Di Vaio, a cui si sono aggiunti Gianluca Curti e Rai Cinema, ho fatto molta fatica. Il tema che volevo raccontare era un problema, la lingua un altro problema, tanto è vero che non abbiamo ancora distribuzione”. Poi al progetto si sono uniti la Regione Campania con la locale Film Commission, mentre l’amministrazione locale ha avversato il film. “Ci hanno fatto capire bene che non avrebbero autorizzato le riprese e abbiamo lavorato in modo semiclandestino. A un certo punto, si è sparsa la voce che stessimo girando un film porno e noi non abbiamo smentito, quindi che il nostro fosse il set dello spot di uno yogurt, mentre noi scherzavamo considerandolo un poliziottesco. Avevamo le armi sul set, compreso un kalashnikov”. Si tinge di toni di gangster story, Là-bas, ma non è quello il suo forte. Piuttosto colpisce la sua precisione nel descrivere un ambiente. Girato a basso budget, con attori non attori, tranne Esther Elisha, nel ruolo di Suad, una prostituta che il protagonista sogna di riscattare dai suoi padroni, ci mostra i luoghi, le abitudini le relazioni di uomini e delle poche donne (la prostituta, la brava ragazza che canta Miriam Makeba, la “mamma Africa” che sa risolvere i problemi), una minoranza in questo segmento di immigrazione quasi tutta al maschile. “Ho scelto un punto di vista interno alla comunità africana, poco praticato dal cinema. Anche in un film molto bello come Welcome di Lioret c’è sempre un bianco in cui identificarsi, ma qui no”, dice ancora il regista. Mentre Esther Elisha, nata a Brescia da madre siciliana e padre del Benin, riflette: “L’immigrazione in sé non è un problema, viaggiare, spostarsi e cambiare paese è la cosa più normale del mondo, ma la classe politica italiana ha strumentalizzato la paura del diverso a fini elettorali. Vorrei che almeno ci fosse diritto di cittadinanza per i bambini nati in Italia da genitori stranieri, che vanno a scuola qui ma poi non possono andare in gita scolastica a Parigi perché altrimenti non li fanno più rientrare”.
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