L’uomo del labirinto: vintage thriller con Servillo e Hoffman

Esce il 30 ottobre con Medusa L'uomo del labirinto, il film tratto dal romanzo di Donato Carrisi, vincitore del David di Donatello come regista esordiente per La Ragazza nella nebbia


L’ondata di caldo anomala travolge ogni cosa, costringendo tutti a invertire i ritmi di vita: soltanto durante le ore di buio è possibile lavorare, muoversi, sopravvivere. Ed è proprio nel cuore della notte che Samantha riemerge dalle tenebre che l’avevano inghiottita. Tredicenne rapita e a lungo tenuta prigioniera, Sam ora è improvvisamente libera e, traumatizzata e ferita, è ricoverata in una stanza d’ospedale. Accanto a lei, il dottor Green, un profiler fuori dal comune. Green infatti non va a caccia di mostri nel mondo esterno, bensì nella mente delle vittime. Perché è dentro i ricordi di Sam che si celano gli indizi in grado di condurre alla cattura del suo carceriere: l’Uomo del Llbirinto. Ma il dottor Green non è l’unico a inseguire il mostro. Là fuori c’è anche Bruno Genko, un investigatore privato con un insospettabile talento, che ha da poco scoperto di essere alla fine dei suoi giorni.

Esce il 30 ottobre con Medusa L’uomo del labirinto, il film tratto dal romanzo di Donato Carrisi, vincitore del David di Donatello come regista esordiente per La Ragazza nella nebbia. Anche per questa nuova opera cinematografica, produzione Gavila con la produzione esecutiva di Colorado Film, Carrisi firma sia la regia che la sceneggiatura, oltre ad essere l’autore del romanzo da cui il film è tratto. Il cast è uno dei punti di forza, e vede contrapporsi e incontrarsi due grandi dello schermo come Toni Servillo e Dustin Hoffman, oltre all’intensa Valentina Bellé.

“Sono partito da due mie specifiche paure – dice Carrisi – quella del buio e la claustrofobia. La protagonista cammina costantemente con un’unica luce puntata addosso, proprio per mostrare come nel buio ci si possa perdere facilmente, ed è un’esperienza che trovo agghiacciante. Poi ho inserito delle porte. Perché questo è un meccanismo mentale comune. Nascondiamo le paure dietro a delle porte e ogni tanto le porte si aprono e queste paure vengono fuori, anche se pensiamo di averle seppellite per sempre. E sono paure umane, che hanno sembianze umane, sono fatte di carne e per questo sono minacciose. A Toni ho raccontato la storia come la discesa agli Inferi di un uomo che sta per morire. Genko ha già un piede dall’altra parte, per questo vede cose che gli altri non vedono, come questa inquietante figura dell’uomo-coniglio. E può permettersi di sfidare la morte”. Servillo dice invece “ho trovato affascinanti i vari livelli di labirinto presenti nella storia: la città immaginaria e difficilmente collocabile nel tempo e nello spazio, con questo caldo biblico e minaccioso, il labirinto mentale da cui bisogna fuggire, e da dove ci si chiede anche come ci si è finiti. Per il mio personaggio sono veri e propri gironi infernali. Non ero sicuro di voler tornare a fare il detective dopo il primo film di Donato, La ragazza nella nebbia. Lì però ero un poliziotto corrotto. Stavolta sono un personaggio chandleriano, inizialmente anche impacciato e incapace. Genko si occupa di recupero crediti e cerca di riscattarsi quando viene riaperto un caso di scomparsa che aveva preso anni prima, e che era rimasto in sospeso”.

Naturalmente la presenza di Hoffman è uno dei punti forti. “L’ho sempre chiamato per cognome – dice Servillo – per mantenere la giusta distanza dal mito”. Mentre Carrisi specifica: “Coinvolgerlo è stato semplice. Gli ho fatto leggere la sceneggiatura, e gli ho detto che c’era Toni. Inoltre è la prima volta dopo anni che ha un ruolo da protagonista, faticoso, che lo porta a reggere il film sulle proprie spalle”. “Temevo che chiedesse degli aggiustamenti – ha raccontato Carrisi a proposito dell’attore americano – a volte i grandi lo fanno. Invece è stato esattamente il contrario, ha voluto che gli promettessi di non cambiare una virgola del personaggio. E’ stato un vero e proprio patto. Il primo giorno di riprese si è fatto portare sul set la mattina all’alba, per respirare l’atmosfera di Cinecittà. Lo viveva come un luogo di culto, nonostante non sia credente. Tra l’altro, so che era stato contattato da Fellini per recitare in 8 ½, ma ha declinato quando ha scoperto che non avrebbe avuto un copione, bensì dei numeri da tenere in considerazione per recitare le battute. Non credeva in questo metodo, e anche quando ha visto il film, che reputa uno dei film più belli mai realizzati, non si è pentito, mantenendo l’impressione che fosse una cosa troppo lontana dalla sua sensibilità attoriale”.

Ma quanto è difficile auto trasporsi dalla carta allo schermo, e come si può tradurre in immagini un mostro della mente? “Non difficile – ha detto il regista – perché le mie storie nascono come sceneggiature di film che nessuno voleva fare. Così le ho trasformate in romanzi e per me il destino di quelle storie era già lo schermo in partenza. Come è stato per La ragazza nella nebbia, abbiamo a che fare con un film di dialoghi, veloce però come un film d’azione. Come insegna Spielberg ne Lo squalo, il mostro bisogna mostrarlo il meno possibile. Si rese conto che se avesse mostrato lo squalo sarebbe venuta meno la sospensione dell’incredulità. Quindi via di meccanismi di mimetizzazione, come i bidoni che suggeriscono la presenza del mostro correndo sull’acqua. La parola ha un potere evocativo molto forte. Tante volte mi hanno fatto i complimenti per delle scene de La ragazza nella nebbia che nel film non c’erano, erano solo nel libro.

Ma erano convinti di averla vista”. Abbiamo avuto modo di chiedere inoltre a Carrisi qual è la sua prospettiva sul genere thriller oggi: “Il genere è sostanzialmente morto, dopo una grandissima stagione negli anni ’90. Grandi thriller come Seven, I soliti sospetti, The Game, e migliaia di altri titoli. Si è esaurito con l’inizio del nuovo millennio, tanto che anche io uso uno stile vintage, perché si rifà a quegli anni lì. Anche da un punto di vista letterario il genere si è raffreddato. Qualcosa hanno portato gli svedesi ma chiaramente è un’atmosfera diversa. Direi proprio un altro clima, non quello del thriller con cui sono cresciuto io. In generale oggi si guarda al passato, pensiamo alle serie, da Stranger Things a 13, il racconto di un vecchio mondo. Il thriller del nuovo millennio per me ancora non esiste”.

 

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28 Ottobre 2019

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