L’ultimo ‘pizzaiolo’ nella Sardegna del cinema 2.0

Presentato a Sassari,nel corso del Sardinia Film Festival il documentario L'ultimo pizzaiolo di Sergio Naitza,che ci restituisce i ricordi di alcuni anziani proiezionisti, “pizzaioli” appunto


Oggi  25 giugno verrà presentato a Sassari, al Palazzo di città (ore 18.30), nel corso del Sardinia Film Festival il documentario L’ultimo pizzaiolo di Sergio Naitza, prodotto da Karel Film Production e communication, con il contributo di Fondazione di Sardegna, con la collaborazione della Società Umanitaria-Cineteca Sarda e Arionline e con il sostegno di Fondazione Sardegna Film Commission.

Il film è dedicato al cinema “di pellicola” e alle sue immaginifiche location: le sale cinematografiche che, anche in Sardegna, poco alla volta sono state decimate dal tempo e dal cinema 2.0. Il regista ci guida attraverso le sale cinematografiche della Sardegna chiuse, abbandonate e cadenti: per raccontare un pezzo di memoria collettiva e immortalare questi luoghi prima che vengano cancellati dal profilo urbano di città e paesi. L’ultimo pizzaiolo, lungi dall’essere elegia del cinema e dei suoi anni più fulgidi, vuole essere la difesa di una memoria pubblica e privata che appartiene a tutti: il racconto di un recente “come eravamo” che si riverbera nella storia sociale, economica e culturale della Sardegna, e merita di non venire coperto dall’oblio.

Il film ruota intorno ai ricordi e aneddoti di tre anziani proiezionisti: tre “pizzaioli”, appunto, ultimi sacerdoti di rito laico, un mestiere soppresso dalla tecnologia. L’ultimo pizzaiolo riunisce in un fitto ping pong di memorie, sotto un vecchio proiettore, le voci di Mario Piras, storico operatore del cinema Olympia di Cagliari, entrato in cabina da ragazzino nel 1948; di Luciano Cancedda, che ha lavorato nel cinema dal 1957 per diventare poi proiezionista del Moderno di Monserrato fino alla chiusura; di Dante Cadoni, che ha iniziato nel 1966 a 15 anni nel cinema Garibaldi di Villacidro per aiutare il padre, e quindi proseguire l’attività familiare.

La quarta voce è quella di Pino Boi, cagliaritano verace, “figlio del cinema” come si definisce lui: il padre era proiezionista e rumorista già ai tempi del muto all’Olympia, e oltre a seguire le orme paterne poi abbandonate, è stato fattorino, magazziniere, distributore: una vita in mezzo alla pellicola. E’ stato l’ultimo gestore del deposito di pellicole della Sardegna, un tempo carico di bobine di celluloide o più comunemente “pizze”, da distribuire in ogni paese e oggi invece solo centro raccolta di manifesti di film o snodo per qualche valigetta di DCP. Così “l’ultimo pizzaiolo” – che dà anche ironicamente il titolo al documentario – è diventato il testimone privilegiato, con le sue memorie, di un passaggio storico epocale.

Ciascuno di loro porta una parola, un pensiero, un ricordo, una riflessione su un’era che si è chiusa. I luoghi sono i silenziosi coprotagonisti del documentario: per loro parlano le immagini di strutture fatiscenti fotografate da Luca Melis. Il film ci accompagna attraverso le sale Due Palme e Alfieri di Cagliari, Ariston e Quattro Colonne  di Sassari, Olimpia di Iglesias, Moderno di Sant’Anna Arresi, Verdi di Domusnovas, Nuovocine e Garibaldi di Villacidro, Pusceddu di Guspini, Tre Campane di Lunamatrona, Costantino di Macomer, Iris di Assemini, Vittoria di Uta, Astor di Villasor, Italia di Dorgali, Splendor di Arzachena, Astra di Olbia, Smeraldo di Jerzu.

“Una rapida morte – spiega il regista, Sergio Naitza – dagli anni ‘80 ha cancellato repentinamente luoghi simbolo di ogni centro abitato, grande e piccolo, frantumando un tessuto sociale che si era formato nel corso del tempo. Ogni città ha la sua via Gluck celentanesca: dove c’era il verde – e la sala cinematografica era un luogo di divertimento, cultura, condivisione, speranza – ora c’è una città, ovvero l’ingordigia immobiliare che ha cambiato la destinazione d’uso e soppresso una memoria collettiva. Sono arrivati i multiplex. Ma cosa resta oggi dei tanti cinema Paradiso in Sardegna? Poco, pochissimo. Cagliari, per esempio, non ha più nessuna delle storiche sale. Così Nuoro, Olbia, Quartu, Iglesias, Lanusei. Solo Sassari, in controtendenza, ha conservato il Moderno nel cuore della città, trasformandolo in un multiplex. Resiste qualche cinema storico a Carbonia, Oristano, Alghero. E accanto alla parabola dei cinema scomparsi, c’è quella dei vecchi proiezionisti, dei gestori, delle cassiere: dentro le sale sarde ci sono storie che non sono mai state raccontate, specchio di un’Isola che cambiava perché il cinema – inteso come luogo di ritrovo, di scambio, di crescita culturale – era connesso con la realtà sociale”.

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