BERLINO – Il momento più emozionante è quello in cui Vittorio tira fuori dalla tasca un foglietto e comincia a leggerlo a voce alta. “Voglio farvi i nomi di alcuni di loro, spero che ci possano sentire: Cosimo, Salvatore, Giovanni, Antonio, Rosario, Vittorio, Vincenzo, Francesco, Fabione… A loro il film”. A loro è dedicato Cesare deve morire, che ha riportato l’Orso d’oro in Italia dopo ventuno anni, l’ultima volta era successo con La casa del sorriso di Marco Ferreri. Alcuni di quei nomi sono di persone che stanno tuttora dietro le sbarre, in una sezione di massima sicurezza di Rebibbia. A loro va il pensiero dei due registi toscani, davvero felici sul palco della Berlinale numero 62. Ancora oggi pomeriggio, parlando con alcuni giornalisti italiani, non sapevano che premio avrebbero vinto. Ma che fosse l’Orso d’oro è sembrato chiaro nel corso della serata quando agli altri favoriti della vigilia – Barbara, Rebelle, Tabu – sono andati gli argenti. La speranza di un massimo riconoscimento era cresciuta nei giorni, mentre la Berlinale sciorinava i 18 titoli del concorso, e nessuno sembrava all’altezza di questo piccolo capolavoro: “piccolo” per budget (poco più di un milione di euro) ma grande per concezione, impegno, passione civile. Frutto del lavoro di due autori ottantenni ma giovanissimi per temperamento, in contatto con la realtà, pronti a tornare alle proprie origini, a rimettersi in discussione, a sperimentare, a cercare nuovi significati in un testo come il Giulio Cesare messo in scena milioni di volte in ogni angolo del pianeta. Quel testo acquistava nuova vita, nuova linfa, a sentirlo recitato dai detenuti di Rebibbia, ciascuno nel proprio dialetto, ciascuno con la sua storia di violenza nel cuore. “Se vuoi piangere a teatro, vai a vedere i carcerati attori”, aveva detto un’amica ai due fratelli. E loro hanno seguito quell’indicazione, quella traccia.
Mike Leigh, il presidente della giuria, che Shakespere lo conosce bene e lo ha diretto più volte, era stato alla conferenza stampa dei fratelli. Non si fa sempre, ed era sembrato giustamente un gesto speciale. E’ chiaro che lui ha avuto un colpo di fulmine per questo film. Ma la giuria non si è divisa. “Ho sentito che ha deciso in armonia e non capita sempre – esordisce Paolo sul palco, appena si spegne il fragoroso, intenso applauso della sala – in questa giuria conosciamo tanti volti che hanno fatto e fanno cinema, un cinema che noi abbiamo amato e amiamo”. Aggiunge Vittorio con tono scherzoso: “Abbiamo avuto fortuna ad avere questa giuria”.
Il direttore della Berlinale Dieter Kosslick chiama sul palco anche la produttrice Grazia Volpi, da sempre al fianco dei Taviani. “Da Padre padrone fino ad oggi ho avuto con loro premi, riconoscimenti, gioie, emozioni, anche sofferenze”. Con Padre padrone fu Palma d’oro a Cannes nel 1977, nell’82 ebbero il Grand Prix per La notte di San Lorenzo. In Padre padrone c’era Nanni Moretti attore, oggi è qui a Berlino come distributore: Cesare deve morire uscirà proprio con la sua Sacher. “Speriamo che questo film, quando andrà al pubblico, faccia dire a uno spettatore, a se stesso o a chi gli sta intorno, che anche un detenuto su cui sovrasta una terribile pena, cioè fine pena mai, anche questo è e resta un uomo”, scandisce Paolo. “Grazie alle parole semplici e sublimi di Shakespeare, questi carcerati sono tornati per alcuni giorni alla vita. Sono stati pochi giorni ma vissuti con grande passione”. E’ ancora Vittorio a prendere la parola: “Noi siamo qua tra le luci, la felicità di essere insieme col cinema, l’allegria dei premi, loro sono nella solitdine delle loro celle. Pensavamo che non saremmo andati più in concorso, dopo tanti premi vinti, ma questo film è cosi particolare che era giusto arrivasse al maggior numero possibile di spettatori”.
Hanno capito di aver fatto breccia anche prima dell’Orso, dagli applausi, dalle vendite in tutto il mondo, Iran compreso (mentre gli Stati Uniti sono ancora in trattative, ma è quasi certa una distribuzione). Per il cinema italiano è una tappa importante. Per Rai Cinema che ha contribuito, un bel momento. Commentato subito, a caldo, dal presidente Franco Scaglia: “Cesare deve morire è un’opera che tocca le corde profonde della vita carceraria, tra battute shakespeariane e dialetti quotidiani, tra il desiderio di riscatto e la durezza delle pene da scontare. Anche per questo l’Orso d’Oro è un premio importante, perché punta una luce nuova su un tema di grande attualità come la drammatica situazione in cui si trova il nostro sistema carcerario, e porta all’attenzione del pubblico il lavoro straordinario svolto quotidianamente dagli operatori che tentano con ogni mezzo, anche con l’arte e il teatro, il recupero di tante vite difficili”. Per l’AD Paolo Del Brocco: “L’Italia torna a vincere a Berlino con un film su un tema difficile, di forte impegno, con un linguaggio di grande cinema come solo i nostri migliori autori sanno fare. Paolo e Vittorio Taviani hanno scritto un’altra grande pagina di cinema”. Una pagina che può anche contribuire ad avvicinare l’Italia e la Germania nell’Europa della crisi. Come ha detto ancora Paolo ai giornalisti: ”Il rapporto Italia-Germania in questo momento è molto importante. Non è che il cinema possa fare molte cose, ma è certamente un modo anche questo per costruire un ponte culturale”.
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