Samia, una giovane al primo importante impiego, arriva come consulente in una scuola della sua regione ritenuta da tutti “difficile”. Qui, scopre i ricorrenti problemi di disciplina degli allievi, la realtà sociale del quartiere e le difficoltà, ma anche la vitalità e l’umorismo degli studenti e dei colleghi. La sua complicata situazione personale la avvicina sempre più a Yanis, studente insolente a cui vuole dare un futuro migliore.
Esce con Movies Inspired il delicato mix tra dramma sociale e commedia di Mehdi Idir e Grand Corps Malade, L’anno che verrà (La vie scolaire), inizialmente programmato per marzo e bloccato come molte altre pellicole dall’insorgenza dell’emergenza Covid. In patria è stato un grandissimo successo, e in generale ha incassato un totale di 14.136.095 dollari nei paesi in cui è uscito.
I due registi hanno curato la sceneggiatura, mentre la fotografia è di Antoine Monod. Il montaggio è stato realizzato da Laure Gardette e le musiche sono state composte dal maestro Angelo Foy. Accanto ai giovani Zita Hanrot (Samia Zibra) e Liam Pierron (Yanis Bensaadi), candidato ai Premi César 2020 come Migliore promessa maschile, ci sono Soufiane Guerrab (Messaoud), Moussa Mansaly (Moussa), Alban Ivanov (Dylan), Antoine Reinartz (Thierry Bouchard), Ibrahim Facher Dramé (Lamine), Moryfère Camara (Issa), Gaspard Gevin-Hié (Kevin), Mahamadou Sangaré (Fodé), Redouane Bougheraba (Redouane), Hocine Mokando (Farid), Blandine Lenoir (Anne) e Dylan Sanches Tavares (Brahim). Le riprese principali del film si sono svolte nel quartiere Fran-Moisin e nella scuola Federico Garcia Lorca a Saint-Denis.
“Abbiamo scelto gli anni del liceo – dicono i registi in un’intervista ad AllòCine – perché è il periodo della vita che più amiamo, siamo pieni di aneddoti e spesso ne parliamo quando raccontiamo le nostre storie. Ci siamo detti che questo avrebbe reso bene in un film scolastico. Siamo partiti da aneddoti personali, scene vissute e che abbiamo raccontato noi stessi tante volte. C’è sempre questo tema di fondo, la vita di una scuola ‘popolare’, che ci ha portati anche a porci domande sul sistema scolastico. Allo spettatore lasciamo il compito di giudicare se si tratti di un film sociale o politico. Non ci poniamo la questione. Certamente c’è una dimensione politica quando parliamo di un quartiere popolare e dell’educazione a livello nazionale, e come arriva in un quartiere del genere. Proviamo a raccontare di vite esistenti, e di approcciarci il più possibile alla realtà. Ed è dentro la realtà che si trova spesso una dimensione politica. Volevamo entrare nel tema in maniera originale. Uno dei miei cugini è un funzionario che lavora nelle scuole e ci ha ispirato tanti racconti, ha incrociato tanti cammini, tra allievi e professori, tra genitori e amministrazione. Ci ha permesso un certo realismo”.
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