L’AMERICA CREDE ALLE FAVOLE


Parlando del Pinocchio di Benigni (questo è il sito dell’attore) si è fatto riferimento da più parti al Pinocchio di Spielberg e Kubrick, A.I..
Entrambi intelligenze artificiali, sorta di umanoidi (letteralmente “dall’apparenza umana”), i due Pinocchi sono in effetti frutto di due diverse eppure sovrapponibili riflessioni filosofiche ed esistenziali.
Nel primo caso Collodi mette in scena con un’impostazione favolistica la metafora della crescita personale dall’infanzia alla maturità, attraverso un complesso e per certi aspetti terrificante percorso di vita irto di ostacoli e momenti di ripensamento. Purezza e verità, aspettative sociali e sentimentali, maternità e paternità. Benigni ne segue le orme fedelmente, creando uno dei più meravigliosi adattamenti che il cinema italiano abbia mai partorito. E qui “meraviglioso” va inteso nel senso più ampio, anche etimologico (ascolta qui la canzone di Pinocchio).
Nel caso di A.I., la “pinocchieria” del piccolo David, robot costruito per essere amato e per apparire capace di amare, è tutta nella volontà di diventare umano – almeno in quelle che sembravano essere le intenzioni di Kubrick e Sarah Maitland. E per questo semplice fatto, diventare meritevole dell’amore della madre, la vera Fata Turchina del film.
E’ il caso però di soffermarsi su un dettaglio che avvicina le due pellicole – forse inconsapevolmente – ancora di più. E cioè il logo scelto per le locandine e i manifesti. L’immagine della promozione italiana di Pinocchio è centrata sul corpo di Benigni che salta a gambe larghe sui suoi personaggi, in fila e in basso, su fondo blu. Il manifesto pensato per gli Stati Uniti, oltreché completamente diverso, è per certi aspetti più fiducioso della riconoscibilità del comico agli occhi del grande pubblico. E’ significativo, insomma, come prima riflessione, che per l’Italia la Medusa abbia preferito la figura intera di Benigni e per l’America la Miramax abbia coraggiosamente scelto solo il profilo del volto, e per di più silhouettato.
Ma quello che salta immediatamente agli occhi è l’incredibile somiglianza tra questa scelta e il manifesto di A.I.. Entrambi giocano sull’efficacia grafica ed estremamente stilizzabile del profilo. Ed entrambi lo pongono rivolto verso destra, il verso più familiare perché, nell’Occidente, quello della scrittura.
Come abbiamo detto, il manifesto americano di Pinocchio punta sulla riconoscibilità del volto del comico premio Oscar, mentre Spielberg e la Warner nel raddoppio della figura del robot sembrano volerne evocare la fredda clonabilità, un dato negativo e drammaticamente poetico se riferito ad un bambino. In effetti di David, verso la fine del film, se ne vedono decine, tutti uguali. E questa scoperta metterà in profonda crisi il piccolo androide.
La Miramax invece – e lo stesso Benigni, se è vero che ha supervisionato personalmente tutta la campagna promozionale – s’affida alla sovrapponibilità dei profili del burattino e dell’attore, come a sottolineare l’indissolubilità del rapporto tra le due maschere.
I due manifesti comunque gravitano intorno alla stessa scelta, quella di evocare l’ambiguità organica ed esistenziale dei protagonisti del racconto tramite un espediente grafico che ritaglia la forma umana di entrambi all’interno di sagome. Di legno, nel caso di Pinocchio, di metallo (?) nel caso di A.I..
La singolarità del manifesto internazionale di Pinocchio però sta anche in un’altra raffinatezza evocativa, quella del Natale, periodo in cui il film uscirà negli USA. Il cranio del burattino di legno infatti, sembra, precisamente, la palla di un albero di Natale. Rispetto a quello della promozione italiana coglie inoltre, ed è qui il punto, l’essenza più profonda di tutta l’operazione: la reale urgenza del film per Benigni, che per anni ha interpretato pellicole in cui, e ce ne accorgiamo soprattutto adesso, era già Pinocchio. Non a caso, infatti, il film funziona di più quando Benigni fa Benigni. E cioè – paradossalmente – quando è più vicino al Pinocchio collodiano, sfrontato, bugiardo, immaturo. Ma simpatico al di là di qualunque giudizio etico. Come Johnny Stecchino e il Mostro insomma.
Ora, finalmente, Benigni può essere Pinocchio in tutta la sua compiutezza, può sbandierarlo al mondo e a se stesso. Che è la cosa fondamentale per fare un film del genere: così vero, potente, straordinario e originale.
Nonostante quanto pensino “Variety” e più di metà della stampa italiana.

autore
24 Ottobre 2002

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