VENEZIA – Un’opera prima matura e stilisticamente coerente, che tratta un argomento di forte attualità come la violenza coniugale e familiare, spesso purtroppo preludio al femminicidio, è Jusqu’à la garde di Xavier Legrand, che uscirà a fine maggio con Nomad e P.F.A. Films con il titolo italiano L’affido. “Volevo realizzare un film sulla famiglia e avvicinandomi all’argomento mi sono reso conto che la casa, il focolare domestico, in teoria il luogo dove ci si sente più al sicuro, è anche quello dove si è maggiormente in pericolo”, dice il regista francese che a Venezia ha vinto sia il Leone d’argento per la migliore regia sia il Leone del Futuro premio Luigi De Laurentiis come migliore opera prima.
Nella prima scena, Myriam e Antoine Besson, si fronteggiano, accompagnati dalle rispettive avvocatesse, davanti alla giudice che decidere per l’affido del figlio minorenne, di 11 anni. Il ragazzino ha rilasciato una dichiarazione giurata in cui dice di non voler più vedere il padre, ma il magistrato stabilisce che l’uomo, che dalle testimonianze di amici e colleghi appare come una persona perbene e tra l’altro si è appena trasferito per stare vicino alla famiglia, ha diritto di incontrare il piccolo due weekend al mese.
Interpretato da Denis Ménochet, Léa Drucker, il piccolo Thomas Gioria, Mathilde Auneveux il film è costruito come un’escalation di violenza che tiene lo spettatore sul filo dell’ambiguità anche perché il comportamento della moglie non sembra inizialmente così limpido. “Mi sono documentato molto e mi sono reso conto che uno degli ingredienti principali di queste vicende è la paura. È difficile capire se non ci sei dentro. Ho visto film e documentari e ho parlato con persone coinvolte, l’uomo violento è sempre un manipolatore, nasconde le sue inclinazioni. Anch’io ho cercato di manipolare lo spettatore, quindi ai due attori protagonisti ho chiesto di non fare apertamente lei la vittima e lui il carnefice”. In particolare Myriam appare passiva e non si capisce perché non denunci il marito per le violenze subite, addirittura non conserva i messaggi di minacce che lui le ha mandato. “Non lo guarda mai negli occhi perché ha paura, ma può sembrare una donna poco disposta a conciliare o che vuole allontanare da lui i figli. Questo, almeno, è quello che la giudice capisce”.
La scena finale, dove la tensione raggiunge un acme insopportabile, sembra in qualche modo ispirata alla celebre sequenza del bagno di Shining: “E’ un film che mi ha turbato come giovane spettatore”, ammette Legrand, che definisce il suo L’affido un “quasi-horror”. “Però attenzione, perché Shining è un fantasy mentre qui ho cercato di essere il più asciutto possibile, di non imbrogliare lo spettatore”.
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