La macchina da presa la conosce bene. Sono più di vent’anni che Kiko Stella lavora con le immagini. Negli anni Ottanta dà vita ad una cooperativa con Daniele Segre, Silvio Soldini, Paolo Rosa, Bruno Bigoni. Con quest’ultimo nel 1983 dirige Live e collabora alla realizzazione di Faber, documentario su Fabrizio De Andrè realizzato per Tele +. Poi è venuta la pubblicità, i documentari, i cortometraggi, la videodanza. Il 24 agosto esce il suo film Come si fa un martini, in pratica l’esordio alla regia cinematografica.
Qual è stato il percorso per realizzarlo?
Alla fine degli anni Ottanta Umberto Eco parlò in una Bustina di Minerva (la sua rubrica sul magazine “L’Espresso” ndr) dei racconti di Marina Mizzau raccolti nel volume Come il delfino e nel 1989 ne comprai i diritti. Dopo una serie di adattamenti, nel 1994 Francesco Bruni e Heidrun Schleef (La stanza del figlio di Moretti) hanno riscritto completamente la sceneggiatura. In un primo momento venne promossa dal Ministero ma poi non abbiamo più ricevuto i finanziamenti. Ma dopo anni di lavoro e tante persone coinvolte nel progetto, con la produttrice Minnie Ferrara l’abbiamo voluto realizzare a tutti i costi. Devo ringraziare Giuseppe Cereda di Rai Cinema che ci ha aiutato molto. Nel giugno 1999 ho cominciato a girare: era il periodo degli scioperi dei tecnici e delle maestranze.
Il film riflette sulla comunicazione verbale e non tra partner
Mi interessava l’ambiguità delle parole e la messa in scena dei rapporti di coppia. Nei racconti della Mizzau i dialoghi sono molto raffinati ma quello che conta è il non detto, il non rivelato. Dopo l’iniziale fase di romanticismo i rapporti di coppia diventano conflittuali, spesso mutano in una lotta per il potere sull’altro, in un un conflitto di posizione. Si consumano. Non esiste un discorso innocente, ci si mette sempre in gioco quando si parla.
Il titolo a che cosa si riferisce?
Il Martini è uno dei cocktail su cui più si disquisisce. In realtà “come si fa un Martini” è un’affermazione che non ha senso perché tutti i “martiniani” rivendicano la propria ricetta per farlo, ormai si parla di “personaltini”. E tutte sono piccole verità, che sottolineano l’incertezza della verità stessa. C’è chi ha notato l’assenza del punto interrogativo nel titolo: ma non volevo offrire istruzioni per l’uso di un cocktail o delle relazioni personali. Sarebbe come decidere se il melone è un antipasto o un dessert.
Come hai scelto gli attori?
Credo che il cast sia eccezionale: è composto da attori che hanno una grande esperienza. Sono davvero felice di aver lavorato con uno dei miei miti giovanili, Giulio Brogi, anche se per il ruolo di Albino (il padre di Ennio Fantastichini, ndr) avevo pensato prima a Gastone Moschin, che però impegnato con la pubblicità di un prosciutto. Quando ho scoperto che anche Brogi era veneto come me, e come volevo che fosse il personaggio, l’ho subito contattato. Il primo ruolo che avevo proposto a Monica Scattini e Fabrizia Sacchi era l’opposto di quello che hanno poi interpretato ed è diverso da quelli per cui sono chiamate di solito. Monica ha abbandonato i suoi personaggi brillanti per dar vita ad una donna tradita dal marito mentre Sacchi diventa sullo schermo una donna estremamente insicura.
Come avete lavorato sull’adattamento?
Nei racconti di Marina i dialoghi sono costruiti in maniera molto raffinata e l’ambiguità, il non detto sono più importanti del detto. Noi dovevamo drammatizzare sia i personaggi che le situazioni, collocarli in uno spazio reale. Ho pensato di ambientare il film proprio a Gallarate perchè per me, che ho una formazione da architetto, quella città rappresenta il fallimento dell’architettura, e perciò dell’idea di socialità, degli anni Sessanta e Settanta. Marina ha seguito tutta la lavorazione e si è detta soddisfatta dell’adattamento.
Perchè fai morire proprio l’unica coppia non “scoppiata”?
Perchè secondo me i rapporti di coppia sono destinati a consumarsi e ho colto i due partner timidi, che non erano riusciti a dichiararsi, nel momento di massima felicità. Quando si toccano e capiscono di essersi amati. Ma anche il loro futuro sarebbe stato quello delle altre coppie. Meglio morire felici e contenti.
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