Dopo questo film non guarderete mai più con gli stessi occhi il corriere che vi porta il pacchetto ordinato su Amazon o su Zalando. Il nuovo capitolo della controstoria delle classi lavoratrici scritto da Ken Loach di film in film, Sorry We Missed You, parla proprio di questa forma contemporanea di schiavitù, quella degli addetti alle consegne a domicilio. Padroncini, come si sarebbe detto una volta, che guidano un furgone comprato a rate o noleggiato a condizioni proibitive. Falsi lavoratori autonomi in realtà sottoposti a un sistema di controllo capillare, attraverso le “pistole”, quei dispositivi satellitari che tracciano il loro percorso e quello del pacco fino al destinatario. Orari disumani, neanche il tempo per una sosta “idraulica” o per un panino, multe salate per chi non rispetta le consegne prioritarie o per chi chiede un permesso di mezza giornata. Il tutto sotto lo sguardo spietato di un “caporale” la cui filosofia si riassume in una frase “prima o poi tutti hanno qualche problema familiare, ma noi dobbiamo comunque essere i migliori, i più competitivi”.
A farne le spese sono i Turner, una famiglia di Newclastle unita e solidale. La mamma Abby (Debbie Honeywood) fa l’assistente a domicilio per anziani e disabili, una sorta di badante a ore gestita da un service. Il padre Ricky (Kris Hitchen) è uno stakanovista che spera di riuscire a pagare la prima rata del mutuo per l’agognata casa di proprietà con il lavoro di fattorino. La coppia ha due figli: l’adolescente Seb (Rhys Stone), che ama i graffiti e odia la scuola, e l’undicenne Liza Jane (Katie Proctor), ragazza assennata che vorrebbe vedere tutti andare d’amore e d’accordo.
Il film, scritto con il sodale di sempre Paul Laverty, racconta con il sano e dettagliato realismo a cui l’83enne Loach ci ha abituati i rapporti tra queste quattro persone: è in effetti uno studio di legami familiari in cui il resto della società finisce per specchiarsi attraverso gli incontri e gli scontri con l’esterno: l’amorevole dimensione di Abby che cura ogni suo vecchietto come se fosse suo padre o sua madre, la lotta per restare a galla di Ricky, su cui inevitabilmente si abbattono gli strali della sorte oltre alle condizioni oggettivamente proibitive del lavoro. Basti dire che quando viene pestato a sangue da una banda di teppisti, il boss gli impone di ripagare di tasca sua i danni.
In uscita il 2 gennaio con Lucky Red dopo essere stato in concorso a Cannes, Sorry We Missed You (il titolo è un riferimento al post it che viene lasciato quando il destinatario è assente ma anche un monito alla possibilità di “perdere” la dimensione umana in un sistema basato solo ed esclusivamente sulla massimizzazione del profitto) gioca la carta narrativa di una tensione forte fin dalla prima scena, quella del colloquio di lavoro, poi costantemente alimentata dalle atmosfere quotidiane in cui i protagonisti sono costretti a muoversi. Ken Loach ha incontrato i giornalisti a Roma, in una conferenza stampa coordinata da Diego Bianchi con tanti riferimenti alla situazione politica della Gran Bretagna di oggi e una voglia di “condividere le sconfitte della sinistra” da parte del conduttore tv. Leggi l’articolo sul film
Lei ha più volte commentato i recenti risultati elettorali. Come spiega la vittoria della destra? Pensa che i protagonisti del film avrebbero votato Johnson?
Le persone sono confuse, molto confuse. Il leader della sinistra Jeremy Corbyn è stato reso impopolare da una propaganda intensa e feroce, come mai prima d’ora. In tanti hanno votato Johnson, ma mi piace pensare che Abby e Ricky sarebbero stati abbastanza intelligenti e sensibili da votare per il partito laburista. In fondo, una persona su tre ha ignorato la propaganda e ha votato a sinistra.
Come funziona la propaganda? E perché è tanto credibile?
Tutta la stampa scritta, ripresa dalle tv, BBC in testa, ha continuato a sostenere che Corbyn è razzista e filoterrorista. Sono bugie, perché è un uomo di pace. Ho fatto la campagna porta a porta e ho sentito le persone ripetere queste bugie propagate anche dai socialdemocratici di destra. Lo fanno per distruggere il programma radicale che la sinistra ha cercato di portare avanti. Tony Blair attacca la sinistra e non dimentichiamoci che Blair è colui che ha puntato sulla privatizzazione delle aziende pubbliche ed è responsabile di almeno un milione di vittime in Iraq insieme al suo amico George Bush. Da lui lezioni non ne prendiamo. Se c’è una cosa che abbiamo imparato da queste elezioni è: “attenti ai socialdemocratici di destra”.
Pensa che il cinema possa fare qualcosa?
Può fare molte cose. Ci sono tante storie che si possono raccontare e anche se non riusciamo più ad avere grandi vittorie come in passato possiamo fare piccoli passi. Un film è una piccola voce in un grande coro. Magari il cabaret politico a Berlino negli anni ’30 non ha impedito l’ascesa di Hitler al potere, ma è stata una voce.
Dopo Io, Daniel Blake aveva detto di volersi fermare, poi è tornato a girare un film. Cosa l’ha convinta?
Mi auguro che Sorry We Missed You comunichi la sensazione che la situazione è intollerabile. Questo sistema si basa su una concorrenza spietata: chi è più veloce, economico e affidabile avrà tutto il lavoro. Ma il costo di tutto questo è lo sfruttamento dei lavoratori oltre ogni limite. Il boss di Amazon è l’uomo più ricco del mondo. Questa diseguaglianza non è sopportabile e porta anche alla distruzione del pianeta. Ciascuno di quei furgoni brucia combustibili fossili. È allucinante: ogni pacchetto che viene consegnato inquina. E l’inquinamento colpisce tutti, i figli dei borghesi come i figli degli operai.
C’è una scena in cui si parla delle lotte sindacali del passato, quando i lavoratori erano coesi e riuscivano a conquistare i diritti a costo di lunghi scioperi e una forte solidarietà.
Il sindacato deve riscoprire questi metodi. Anche in passato la gente viveva in situazioni limite. I muratori per esempio andavano nei cantieri per essere chiamati a giornata, come i portuali. I lavoratori erano l’uno contro l’altro. C’è bisogno di persone che organizzino i lavoratori. Organizzarsi e combattere.
Come ha scelto gli interpreti e come ha lavorato con loro?
Abbiamo cercato persone credibili e che capissero a fondo la situazione. Kris è stato un idraulico per gran parte della sua vita, Debbie è un’insegnante di sostegno, i due ragazzi vengono dalle scuole locali. Con loro abbiamo improvvisato qualche scena familiare, per esempio un pasto in comune, un’uscita. Quindi abbiamo girato in ordine cronologico e loro stessi scoprivano la storia solo mano a mano. È un modo pericoloso di lavorare perché qualcosa potrebbe andare storto, ma è molto naturale la reazione che suscita.
Uno dei temi del film è il tempo rubato: tempo rubato alla vita privata, ai legami familiari.
Molti lavorano per avere una bella vita con la propria famiglia e con gli amici ma questo diventa sempre più impossibile. Dove è andata a finire la giornata di 8 ore? Non vale soltanto per i dirigenti ma anche per i livelli inferiori. La tecnologia porta ad essere reperibili giorno e notte. Potremmo usare la tecnologia per rendere migliore la nostra vita. Il partito laburista voleva ridurre l’orario di lavoro settimanale a 32 ore. L’opposizione li ha derisi, eppure è una cosa di buon senso.
Lei cosa pensa della Brexit?
C’è un paradosso insito nell’Unione Europea. Da una parte a sinistra vogliamo essere solidali con i lavoratori di tutti gli altri paesi europei, ma quel sistema produce la crudeltà che abbiamo mostrato nel film. Quindi sì all’Unione europea ma non a questo mercato.
Si sente isolato nel panorama dei registi britannici?
Ci sono registi, sceneggiatori, produttori, attori che vogliono riflettere sul mondo in cui viviamo, ma non sono loro a decidere quali film fare. Le sale sono di proprietà delle multinazionali, così come le società di produzione. Un tempo la BBC e le altre compagnie tv hanno consentito di realizzare film indipendenti. Negli anni ’60, con la BBC, avevamo la libertà di realizzare un film che veniva mostrato al capo della fiction il giorno stesso in cui usciva. Oggi vengono gestiti passo passo da una piramide di burocrati, quindi viene fatta fuori ogni originalità, probabilmente perché si rendono conto che si tratta di un mezzo potente. Noi siamo fortunati perché abbiamo una piccola nicchia in cui muoverci.
Come funziona la distribuzione di questi film indipendenti? Riuscite ad arrivare agli spettatori in modo capillare?
Io, Daniel Blake è riuscito ad arrivare alle persone che venivano raccontate nel film tramite un sistema alternativo di distribuzione all’interno di associazioni di volontariato, piccole squadre di calcio, sindacati, chiese che hanno potuto noleggiare il film a prezzi molto bassi. Ci sono state 700 proiezioni di questo tipo in Gran Bretagna. Speriamo che la stessa cosa possa accadere con questo film. Magari anche in Italia.
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