Non ha potuto prendere parte in persona alla consegna dell’Ulivo d’Oro alla Carriera per motivi di salute, ma il riconoscimento offerto a Ken Loach dal Festival del Cinema Europeo di Lecce ha già trovato posto sul camino di casa sua. È lo stesso regista britannico 88enne a mostrare con orgoglio il premio, prima di iniziare al conversazione a distanza con Luciana Castellina. La giornalista, scrittrice ed ex deputata ricorda subito un episodio di molti anni fa, quando il regista contribuì nell’evitare la chiusura di un cinema nella periferia di Napoli. In quell’occasione, ricorda Castellina, Loach preferì visitare le fabbriche e gli operai partenopei piuttosto che i monumenti e le bellezze naturali. “Ricordo di avere incontrato dei partigiani che avevano combattuto in guerra. Sono felice di sapere che il cinema è ancora lì” afferma Loach.
La conversazione non può che vertere inevitabilmente sui temi cari ad ambedue e che impregnano l’opera del cineasta britannico, da sessant’anni impegnato nel racconto della classe operaia. “C’è una cosa che ho imparato dalla politica degli anni 60, nel periodo della nuova sinistra. – afferma Loach cercando di individuare un cambiamento nel corso degli ultimi decenni – Uno dei nostri slogan era: ‘né con Washington né con Mosca’. Eravamo sia contro il capitalismo occidentale che contro la dittatura burocratica stalinista. L’essenza era la dicotomia tra la classe operaia e quella dirigente. Ne derivava un conflitto di interessi: l’idea era di continuare a marciare fino a quando la classe operaia non sarebbe risultata una parte attiva della società. Dovevamo però sviluppare la consapevolezza che questo approccio era il nostro punto di forza. La classe dirigente ha lavorato per impedire alla classe operaia di unirsi a livello internazionale e di acquisire la consapevolezza di questo punto di forza. La classe operaia ha continuato a fare quello che doveva e la classe dirigente ha continuato nel suo sfruttamento”.
“Le conseguenze non sono più così imprevedibili. – continua – C’è sempre più concorrenza tra le multinazionali che porta a una riduzione dei salari e a uno sfruttamento del pianeta, sapendo che sono risorse finite e che questo sfruttamento porta a conseguenze tragiche. Nonostante ciò tutto va avanti perché il profitto del prossimo anno sarà quello che determinerà il successo dell’azienda. La politica si fa sempre più aggressiva, va in guerra perché i politici devono ampliare la propria zona d’influenza per vendere i propri beni sul mercato. Uno stato permanente di distruzione di guerra e di povertà che va sempre peggio. Si diffondono sempre più governi autoritari, fino ad arrivare a Trump e all’estrema destra”.
Ma i toni si fanno più speranzosi quando Loach torna a parlare del suo mestiere: “Il cinema della realtà è sempre stato il più eccitante perché niente è più commovente e coinvolgente della condivisione della nostra comune umanità, del modo in cui festeggiamo insieme, ci arrabbiamo insieme, ci amiamo insieme. Il cinema deve confermare questa comunanza e la fantascienza e gli altri generi che il cinema produce a livello commerciale non toccano questi temi. Nessun altro media come il cinema è in grado di rappresentare al meglio la realtà”.
“I film che più mi hanno influenzato sono i grandiosi film neorealisti italiani del dopoguerra. – aggiunge – Vittorio De Sica è sempre stato il mio preferito, ma anche Gillo Pontecorvo e tanti altri hanno fatto film meravigliosi. Trattavano il tema della classe operaia, dimostravano che si poteva parlare delle loro storie e lotte. L’altra grande fonte di influenza è stato il cinema dell’Est, quello ceco in particolare, che negli anni ’60 era semplicemente straordinario, un cinema dell’osservazione che cercava di trasformare la macchina da presa in un osservatore empatico che guarda dall’angolo di una stanza e prova un sentimento di vicinanza. E così lo spettatore è coinvolto, può comprendere quello che succede ai personaggi. Un’esperienza importante che ci permette di comprendere le parti più profonde di queste persone. Se il film funziona, e non sempre accade, il film ci tocca nel profondo perché è la realtà a farlo. Il cinema dell’osservazione è il modo con cui ho provato e provo a fare i miei film”.
Infine, a Loach viene chiesto un commento sulle guerre attuali: il conflitto in Ucraina a suo avviso è “una tragedia prevedibile”, per cui è arrivato il momento del dialogo, perché “fin troppi giovani stanno venendo massacrati in entrambi gli schieramenti”. Molto più duro riguardo a Gaza e agli “inimmaginabili crimini contro l’umanità di cui siamo testimoni quotidianamente”. “Un giorno ci sarà giustizia per questo genocidio – conclude con tono severo e sofferente – è necessario che da entrambe le parti i criminali vengano consegnati alla giustizia. I palestinesi hanno il diritto di avere un loro stato e di decidere per loro stessi”.
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