Juliette Binoche: “La cucina è femmina e ‘La passion de Dodin Bouffant’ è femminista”

Hung Tran Anh in Concorso con la storia di un famoso gastronomo francese di fine ‘800, intepretato da Benoît Magimel, la cui passione culinaria non è da meno di quella per Eugénie, sua eccelsa chef


CANNES – …sfiletta, impasta, guarnisce, assaggia, inforna, sviscera, spreme, scola, riscalda, raffredda: verdure, pesce, meringhe, interiora, odori, frutta, uova, lattuga e panna. Lei è Eugénie (Juliette Binoche), accanto alle “fatine del focolare” Violette e Pauline, apprendiste poco più che bambine, nella cucina borghese del famoso gastronomo Dodin Bouffant (Benoît Magimel); per la prima lunga e affascinante sequenza del film La passion de Dodin Bouffant (The pot au feu) (oltre venti minuti), quasi senza nessun dialogo e tutta affidata alla visione, si prepara un imponente menu: consommé, vol-au-vent, rombo, carré di agnello e frittata norvegese; un paradiso per il palato che Dodin condivide poi con quattro amici gourmet (tra cui sulla scena si riconosce anche il famoso chef francese Pierre Gagnaire, consulente gastronomico e anche lui a Cannes ad accompagnare il film).

Hung Tran Anh – regista francese di origine vietnamita, caméra d’or per l’Odeur de la papaye verte (1993) – dal romanzo La Vie et la passion de Dodin-Bouffant gourmet (1924) di Marcel Rouff porta lo spettatore dentro la Francia di metà ‘800, per una storia di cibo e d’amore, mélange e tema di cui Cannes ha precedenti illustri, come La grande abbuffata di Marco Ferreri, che suscitò scalpore al Festival del ‘73, anno in cui pubblico e critica avevano bocciato il consesso di coraggiosi borghesi che si strafogavano di cibo in un’apocalisse precipitante.

Ma quella di Hung Tran Anh è un’altra storia, anche con un’altra capacità d’impatto: senza dubbio mette in scena una magnifica coreografia estetica, per cui guardare significa aver la sensazione di toccare e respirare la polpa e l’odore della parata di piatti che si preparano nella cucina di Dodin, ma il tocco didascalico generale, seppur palpabile sia la materia culinaria mostrata, consente “una digestione” un po’ troppo semplice per essere davvero memorabile.

Per il regista, “il libro era una panoramica magnifica sulla culinaria e io volevo trovare un equilibrio per raccontare una storia parallela tra amore e gastronomia, volevo fare un film davvero francese. La metafora è chiara su quello che Dodin vuol comunicare a Eugénie, e il mistero è anche in tutte le parole non dette: è complesso esprimere un sentimento e dunque l’espressione è affidata al gesto del cucinare. È davvero una storia di coppia, che ha necessitato un lavoro di armonia”.

Eugénie è maestra tra i fornelli e lavora da vent’anni per Dodin, s’è stabilita nel tempo reciproca ammirazione, così una relazione sentimentale, che molto unisce nel nome di pietanze capaci di stupire i più grandi palati “alla loro corte”. Ma Eugénie, più ancora della cucina, ha la passione per la propria libertà, infatti non ha mai accolto la proposta di matrimonio di Dodin.

Per Binoche “è un film femminista, afferma che la cucina è donna. Eugénie si afferma per la qualità della propria preparazione: Dodin, infatti, alla fine ammette che lei – per lui – sia prima la sua chef e poi la sua amante. Ho preparato i piatti pensando sempre al rapporto particolare che si stabilisce col cibo: la materia esprime lo spirito. Dodin è la persona che più consulta Eugénie, ricorre sempre una sorta di matrimonio”.

Magimel lo racconta come un film “delicato, di classe, espressione d’amore: ci sono gesti precisi e palpitazione, e la materia stessa ha un suo ritmo. Ho adorato la precisione intensa del film e che non fosse un film di stereotipi”.

Binoche, ancora, lo descrive come “un inno alla vita, alla bellezza, dunque all’amore. La Natura è generosa e noi dobbiamo celebrarla e la cucina è un omaggio alla creazione della Natura stessa. Il film è un omaggio alla raffinatezza francese ed è per me una lettera d’amore del regista – vietnamita naturalizzato francese – alla Francia”.

Per chef Gagnaire, “cucinare è una lunga dichiarazione d’amore, fondamentale è la relazione che si crea con il gruppo di lavoro, è una sorta di comunione, un po’ come succede nel film. L’emozione, sì l’emozione domina. È stato un regalo fare il film perché mi ha permesso di offrire creatività e tecnica, il film riflette questo rigore e dice: ascoltate, ascoltate la perfezione”.

Nel film, la vista s’appaga a tal punto da far sentire lo spettatore, a più riprese, desideroso di assaggiare per esempio un succo di carota, di cui si coglie incredibilmente dallo schermo anche la cremosità e la leggera punta agrumata: questa visione genera un piacere quasi palpabile, per cui ricorre l’impressione di star davvero titillando le papille o dilatando le narici, ma questa sollecitazione dei sensi forse non basta. Infatti, il film dedica la maggior parte della propria messa in scena alla creazione culinaria, dunque celebra l’arte di mangiare e così del vivere in armonia, e tutto procede senza spigoli o sorprese, quasi nemmeno quando Eugénie dà i primi segnali di affaticamento fisico, poi diagnosticato come misteriosa malattia, momento da cui i ruoli dei due – lei e Dodin – si ribaltano e lui, per la prima volta, cucina per lei, in un atto che poi si ripeterà a più riprese, sua espressione della cura e dell’amore. Romantico, simbolico, ma – ancora – un po’ didascalico.

Godard mi ha sempre ispirato, i suoi film sono freschi e densi. Io sono felice di usare il cinema per donare al pubblico l’impressione che sia un animale libero nella giungla, diversamente è solo una sensazione momentanea”, aggiunge Hung Tran Anh.

Il film sarà distribuito nelle sale francesi dalla Gaumont a partire dall’8 novembre 2023; sarà distribuito in Italia da Lucky Red.

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25 Maggio 2023

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