Juliette Binoche il 9 marzo festeggia il suo 60° compleanno, ma non mostra segni di rallentamento. Ad ogni stagione cinematografica escono almeno due film in cui è protagonista e la sua immagine di icona del cinema di qualità è sempre più salda. Da meno di un mese la si può ammirare nella serie originale Apple+ in cui interpreta la mitica Coco Chanel detronizzata dallo stilista in ascesa Christian Dior in The new look e sempre nel 2024 sono in arrivo: Queen at see di Lance Hammer e The return di Uberto Pasolini in cui sarà Penelope accanto a Ralph Fiennes nei panni di Odisseo.
La Binoche, come la chiamano i francesi e ormai tutto il resto del Mondo, è nota per avere una personalità schietta, irrefrenabile quando si tratta di esprimere le sue opinioni e nell’impegno attivo in questioni sociali. Questa sua indole battagliera, estremamente apprezzata dai suoi fan, ben si sposa con la percezione che il pubblico ha di lei, cioè come dell’incarnazione della forza femminile, a prescindere da certi personaggi fragili e delicati che spesso porta sullo schermo con una grazia che è solo sua.
È così da quattro decenni, da quando ventunenne, è esplosa al Festival di Cannes del 1985 recitando in Rendez-vous di André Techiné uno dei più importanti cineasti francesi di quel periodo, tanto che con questo film vinse la palma d’oro per la miglior regia. Il film fece scalpore, lei giovanissima bucò lo schermo ed è così che nacque “La Binoche”.
Prima di allora era un volto pressocché sconosciuto, aveva preso parte in film con autori importanti come Jean-Luc Godard, ma la sua carriera ancora non era decollata. Serviva un ruolo chiave con cui mettersi in mostra e quello di Nina, aspirante attrice, in Rendez-vous fu la sua benedizione. Il pubblico rimase affascinato da questa enigmatica ragazza ingenua dai capelli corvini. “Dopo Rendez-vouz, quando ho iniziato, qualcuno mi ha chiesto di fare un’autobiografia della mia vita… quando avevo 21 anni!”, rivela la Binoche in una recente intervista.
Tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90 l’esplosione definitiva, la cui onda d’urto si spande in tutto il Mondo. Inanella una serie di opere che inchiodano il suo nome alle pareti dorate della storia del cinema. Ha soli 24 anni quando recita accanto a quel mostro sacro di Daniel Day Lewis in L’insostenibile leggerezza dell’essere tratto dal romanzo capolavoro di Milan Kundera e diretta da Philip Kauffman.
Tra il 1992 e il 1996 è l’interprete principale de Il danno di Louis Malle accanto a Jeremy Irons e di una delle più belle opere cinematografiche di sempre: Tre colori di Krzysztof Kieślowski. La trilogia ispirata ai cromatismi e agli ideali della bandiera francese è un pezzo d’arte che segna la fine del millennio e la Binoche è il fulcro indiscusso intorno al quale il geniale regista polacco costruisce la sua narrazione stilizzata, metaforica, gloriosa.
Arriva sempre nel 1996 la sua consacrazione dell’establishment mondiale. La sua Hana de Il paziente inglese, kolossal in costume diretto dal compianto Anthony Minghella, le fa vincere una statuetta come Miglior attrice non protagonista alla notte degli oscar: una delle 9 portate a casa dal film in quella edizione.
La Binoche ha solo 32 anni e oltre venti film alle spalle. È la regina del cinema francese, la più pagata in assoluto e sicuramente la più amata all’estero. Ma piuttosto che soccombere al fascino di Hollywood, a parte qualche blockbuster di passaggio, la Binoche ha semplicemente continuato a lavorare con celebri registi di tutto il mondo, coltivando una reputazione di amante della sfida.
“Per me il rischio è ripetermi o entrare in una zona di comfort che non mi apre gli orizzonti”, ha più volte ripetuto nelle sue interviste. Così passa dal dramma in costume di Patrice Leconte L’amore che non muore alla favola in grande stile Chocolat accanto a Johnny Depp, dall’impegnato Niente da dichiarare di Michael Haneke all’eccentrico Mary di Abel Ferrara. La dirigono maestri assoluti come: John Boorman, Amos Gitai, Abbas Kiarostami, David Cronenberg, Bruno Dumont, Hirokazu Kore’eda, Leos Carax e Trần Anh Hùng.
Oggi a 60 anni, non c’è molto che questa straordinaria e impavida artista non abbia fatto. E i cancelli del cinema per lei sono sempre spalancati. Si può dire senza paura di essere smentiti che ha realizzato le sue ambizioni. Ha realizzato quasi 80 film che spaziano da Gli amanti del Pont-Neuf a Godzilla. Ha continuato a dipingere, pubblicando un libro di ritratti dei suoi registi insieme a brevi poesie su di loro. Nel 2008, da zero all’età di 44 anni, ha eseguito uno spettacolo di danza, coreografato da Akram Khan, al Teatro Nazionale. È stata politicamente attiva, in particolare a sostegno della libertà artistica e giornalistica, e negli ultimi anni è passata dal tutto esaurito dell’Antigone di Sofocle a Londra e New York al canto e allo slapstick.
Eppure i suoi esordi sono stati sudati e ha lottato per arrivare dove è ora, cercando ed ottenendo presto la sua indipendenza.
“Nessuno crederà in te, prima di te stessa. Naturalmente il fatto di essere un’attrice preoccupava i miei genitori, perché era molto incerto. E, lavorando entrambi in teatro, sapevano quanto fosse faticoso”. ha rivelato la Binoche. Infatti è figlia di genitori che si sono separati prestissimo e non hanno mai ottenuto nemmeno lontanamente il suo successo: lui Jean-Marie Binoche, un mimo, regista teatrale e scultore; lei Monique Stalens, un’attrice polacca originaria di Częstochowa.
“Il primo anno, come studentessa, ho avuto un piccolo aiuto da mia madre. Mi ha dato dei soldi per pagare il corso di teatro, così almeno quello è stato fatto. E il mio primo ragazzo era italiano, e anche lui è stato molto generoso. Così non ho dovuto trovare un posto dove vivere perché vivevo con lui”.
Dopo è stata una lotta, con la Binoche che si arrangiava lavorando come cassiera nei grandi magazzini BHV fino a che arriva Jean-Luc Godard con il suo Ave Maria e Juliette capisce una volta per tutte che è quella la sua strada, per quanto faticosa e incerta. Abbandona il lavoro e si getta a capofitto tra le braccia della settima arte e da allora non si è più slacciata da quella stretta così piena di vita e di bellezza.
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