È il ritratto di una madre e di una donna cresciuta sotto i riflettori dello show business, più che del mito amato e venerato dal mondo, il biopic su Judy Garland presentato in selezione ufficiale alla Festa del Cinema di Roma. Judy, interpretata da una quasi irriconoscibile Renée Zellweger, ripercorre luci e ombre di quella bambina prodigio travolta dall’enorme successo del Mago di Oz, che ritroviamo sul finire della sua carriera, nel 1969. Una donna fragile, con problemi di insonnia, depressione e alcolismo, molto diversa dalla baby star degli Anni ’30 ma anche dalla celebrità hollywoodiana sfavillante che è stata fino agli Anni’ 50. Una vita vissuta tra set e luci sfavillanti, ma anche in mezzo ad amori tormentati (“Il mio rimedio alla depressione? I miei quattro mariti”, risponde in un’intervista) e drammi familiari (l’assenza della famiglia e le battaglie legali per la tutela dei figli), che l’hanno resa inaffidabile agli occhi dello show business.
Il film non è il classico biopic, ma si concentra su due momenti particolari della vita dell’artista: gli esordi, in cui era già chiaro quello che sarebbe stato il suo destino, e gli ultimi momenti di vita e carriera. La seguiamo mentre è arrivata alla fine della sua vita, è lontana da casa, a Londra, in un paese estraneo in cui incontra persone sconosciute. La vediamo fisicamente e mentalmente stanca, vorrebbe tornare a casa ma continua a lavorare solo perché ne ha bisogno per mantenere i figli. Un momento che è un po’ un parallelo rispetto alla sua esperienza da bambina, che ritorna sullo schermo attraverso diversi flashback che riportano lo spettatore sul set de Il mago di Oz.
A dirigere Judy, Rupert Goold (True Story) che racconta di aver voluto bilanciare la leggenda con la donna reale, la figura del mito con quello di una madre che lotta per cercare di dare ai propri figli un’infanzia normale, quella che lei non ha avuto. “Judy è nata all’interno del sistema degli studi – sottolinea il regista – è come se avesse vissuto in un Truman Show. Sin dall’inizio lei ha avuto una vita molto artificiale, ed è qualcosa che sua madre, che aveva con lei un rapporto un po’ conflittuale, ha accettato”. Una rinuncia che è stata, in parte, il prezzo di una fama raggiunta così precocemente e in anni in cui non c’era una grande tutela per le baby star. “Adesso abbiamo un sistema che protegge di più i giovani artisti, come ad esempio i protagonisti di Harry Potter, ma a quei tempi Garland era un po’ come il canarino in miniera: un esperimento per vedere cosa può accadere a un bambino che diventa famoso”.
Nei panni della Garland Renée Zellweger, che per prepararsi alla parte (sullo schermo si esibisce anche in diverse performance canore registrate dal vivo) si è allenata per oltre un anno con un vocal coach che le ha permesso di imitare la voce di Judy e il suo accento distintivo. Notevole anche il lavoro sul corpo fatto dall’attrice, riuscito per buona parte del film, in cui riproduce quel modo nervoso di muoversi della Garland e quel suo modo di stare ferma sul palco, sbilanciata e con le spalle basse, in una posa che sembra una specie di gobba che, in realtà, le faceva dimostrare parecchi più anni di quelli che aveva. Rispetto alla scelta dell’interprete, Goold conferma quanto per lui fosse importante trovare un’attrice dell’età giusta, capace di cantare e con quella verve comica che caratterizzava la Garland. Caratteristiche che fanno pensare, quasi con naturalezza alla Zellweger: “Vedendo i film di Judy lei sembrava la ragazza della porta accanto, e anche Renée, pur essendo una star, è stata percepita così dal pubblico, c’è un certo parallelismo tra le loro vite. L’altra cosa simile è che Renée si è presa sei anni di distacco dal cinema perché si sentiva risucchiata dai media. Anche lei ha fatto un percorso personale sulla fama, e mi interessava capire come si sarebbe rapportata alla storia di Judy”.
A completare il cast, tra gli altri, Rufus Sewell, Jessie Buckley, Michael Gambon e Finn Wittrock. Judy sarà distribuito nelle nostre sale da Notorious Pictures dal 30 gennaio.
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