Joshua Jackson


J.JacksonSono passati 3 anni dalla fine del telefilm che lo ha reso famoso ma Joshua Jackson non pare cambiato di una virgola. Certo nel frattempo ha recitato un testo di David Mamet nel west end londinese e ha tentato di nuovo il colpaccio televisivo con un serial legale, Capital Law, che però i produttori hanno bocciato alla prima puntata, eppure lo sguardo furbo e la battuta pronta sembrano sempre quelli di Pacey Witter, il personaggio di Dawson’s Creek a cui deve tutto. Jeans, scarpe da ginnastica e giacca alla moda sorride spesso quando parla, specie se gli chiedi cosa ricorda meglio dell’esperienza lavorativa in Italia. Già perché tra il palcoscenico e il piccolo schermo, in questi anni, Josh si è cimentato anche sul set nostrano. Nel 2005 infatti è volato in Toscana per girare Vengo a prenderti, una coproduzione italo-franco-inglese, distribuita dall’Istituto Luce in uscita nelle sale il 9 giugno. Diretta e sceneggiata da Brad Mirman, la pellicola è una commedia agrodolce che lo vede al fianco di Claire Forlani, Harvey Keitel e Giancarlo Giannini. Ed è proprio con l’attore italiano che Jackson si divertiva di più tra un ciak e l’altro: “Sul set mi hanno viziato in tutti i modi possibili. Ed era solo la mia prima esperienza italiana. Che dire? Sono stato fortunatissimo: ho visto la campagna senese e bevuto tutti i caffè con la grappa che Giannini mi offriva”.

Com’è stato coinvolto in questo progetto?
Mi intrigavano due cose: la possibilità di lavorare con Keitel e l’evoluzione a cui va incontro il mio personaggio, Jeremy, un giovane editore che sogna di diventare scrittore. All’inizio non mi piaceva il suo comportamento. Lascia Londra alla volta della Toscana solo per fare carriera, il futuro del suo lavoro dipenderà dal successo della missione che gli è stata affidata ovvero convincere un romanziere di successo, Weldon Parish, (Harvey Keitel) a riprendere a scrivere dopo 20 anni di inattività. Ma saranno i luoghi diversi, l’incontro con una ragazza e soprattutto le chiacchierate con Parish a fargli capire cosa conta davvero per lui.

C’è qualcosa di suo nel personaggio di Jeremy? Anche lei ha avuto un mentore?
Di preciso non saprei dirlo, ma in generale quando interpreto un personaggio ci metto sempre del mio. Non so se questo significa non essere un bravo attore, ma credo che nessun ruolo possa essere totalmente avulso o non mutuato dall’esperienza personale dell’attore. Invece riguardo ai mentori posso dire di averne avuti e di averne tutt’ora più di uno. Per la maggior parte non si tratta di gente famosa, ma di persone che mi stanno accanto da sempre. L’unico vip è Emilio Estevez, l’attore regista che incontrai all’inizio della carriera e che mi aiutò a sentirmi parte integrante del cast del film che stavamo girando. All’epoca ero un ragazzino. Anni dopo mi sono ritrovato di nuovo sul set con lui per Bobby, pellicola sull’assassinio di Robert Kennedy. E’ l’ultimo lungometraggio che ho girato insieme ad Aurora Borealis con Donald Sutherland e Juliette Lewis.

Nel film vuole provare a scrivere un romanzo. Nella vita reale che rapporto ha con la letteratura?
Molto buono, leggo tantissimo. Credo che per un attore i libri siano uno strumento fondamentale, perché ti consentono di ricreare sul grande schermo lo scenario che tu hai solo immaginato e letto sulla pagina. Insomma per me e per il lavoro che faccio la lettura rappresenta qualcosa di più di una fonte di svago. I miei testi preferiti sono “Zorba il greco”, “L’ultima tentazione di Cristo” e “Immortalità”, ma adoro anche Steinbeck.

Lei ha iniziato a recitare a 8 anni. A 18 è diventato l’idolo delle ragazzine grazie ad un telefilm. Che consigli si sente di dare a chi vuole fare l’attore?
Se s’inizia da bambini è importante farlo gradualmente. Mia madre è stata molto brava a dosare per me gli impegni e questo mi ha consentito di avere un’infanzia normale in tutto e per tutto. Se si è già grandi è necessario avere un talento di base, ma anche una gran fortuna e i contatti giusti. C’è tanta gente bravissima che non riesce ad emergere perché non ha avuto o non ha afferrato le occasioni al momento opportuno. Questo è un mondo estremamente competitivo dove i posti al vertice scarseggiano. Specie ora che è tutto globalizzato: non esistono più fenomeni locali. O esplodi al livello mondiale o sei sempre in bilico. Prendiamo Javier Bardem. Per me è il miglior attore del mondo su piazza, ma il fatto di parlare male o poco inglese lo penalizza purtroppo. E’ davvero un peccato.

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08 Giugno 2006

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