Jonathan Glazer e il suo “Grande Fratello in una casa nazista”

Il regista Jonathan Glazer ha incontrato il pubblico della Festa del Cinema di Roma in occasione della presentazione del suo ultimo film The Zone of Interest


ROMA – “Molti film sui nazisti hanno un qualcosa di involontariamente feticista. Io volevo andare fuori da topoi del cinema. Volevo creare un Grande Fratello ambientato in una casa nazista, guardare più che partecipare”. Com’era prevedibile è stato il suo ultimo The Zone of Interest l’argomento di conversazione privilegiato dell’incontro tra il regista Jonathan Glazer e il pubblico della Festa del Cinema di Roma. Dopo avere stupito gli spettatori di Cannes e, soprattutto, la giuria (che gli ha assegnato il Grand Prix Speciale), il film che racconta la vita della famiglia del comandante Rudolf Höß al di là del muro di Auschwitz è stato presentato a Roma, lasciando inevitabilmente la sua impronta.

“Le osservazioni di Hannah Arendt sono straordinarie e sono un punto di riferimento per me. – ha spiegato il regista, che nel film si appropria con lucidità del concetto di banalità del male – Diceva che il male è la conseguenza della mancata capacità di pensare. Queste persone non pensano, perché non si fermano mai. La protagonista si muove costantemente, esamina tutto ansiosamente: come stanno i fiori, quando arrivano gli ospiti. Non ha curiosità per niente. Non pensa e in questo non pensare si nasconde il male”.

“Quando ho fatto la mia ricerca ho imparato a conoscere i componenti della famiglia: erano persone ordinarie e banali, noiose, vuote. – continua Glazer – Persone grottescamente familiari. Ho capito che il film ci avrebbe permesso di stare dalla parte dei colpevoli e non delle vittime. Non volevo che il film fosse come un pezzo di un museo da guardare a distanza solo perché sono fatti accaduti 80 anni fa. Volevo che provocasse disagio per quello che siamo oggi. Siamo in grado di fare le stesse cose del passato, di seguire la stessa strada abominevole”.

Sul suo particolare stile registico, che prevede l’utilizzo di una decina di camere in contemporanea: “Volevo trattare gli attori come se dovessi credere a loro, perché se io credo a ciò che guardo anche il pubblico ci crederà. Nella mia ricerca ho cercato di creare una distanza critica tra me e il soggetto. Non siamo coinvolti nelle psicologie dei personaggi come faremo in un film convenzionale: ho cercato di creare le situazioni piuttosto che le scene. Tutto è reale: la casa, il giardino, il muro. Perché io in primis avevo bisogno di credere che fosse reale”.

Lo stesso approccio è stato usato anche nel film del 2013, Under the Skin, il film più popolare dell’autore, nonché l’ultimo prima di The Zone of Interest: “Nelle scene del van, Scarlett Johansson girava e la troupe stava dietro,nascosta. Comunicavamo attraverso un auricolare. Le dicevo dove andare e chi provare ad abbordare. Era come scrivere un film mentre lo giri: un processo creativo intossicante”.

Durante l’incontro Glazer ha avuto l’occasione di ripercorrere gli inizi della sua carriera di cineasta, che lo ha visto lavorare sia in ambito pubblicitario che con i videoclip musicali. “Per me non c’è differenza tra i vari formati, che siano videoclip, cortometraggi o documentari. Sono stato fortunato perché ho lavorato in un periodo in cui l’artista aveva piena voce in capitolo e le case discografiche non interferivano sul suo lavoro. In quel periodo MTV era un palcoscenico per videomaker, studiavamo quello che facevano gli altri e c’era una concorrenza sana e piacevole. Eravamo spinti a fare meglio degli altri. Ogni forma ha la sua dignità, cambiano solo i tempi e i ritmi. Anche se non mi trovavo a mio agio con la pubblicità. Una volta ho detto a un mio amico: utilizzo la mia merda per svendere la loro. Lui mi ha risposto: no, sei tu che usi la loro merda per vendere la tua”.

C’è spazio anche per parlare dell’incontro con la compositrice candidata all’Oscar Mica Levi, con cui ha collaborato nei suoi due ultimi film oltre che in altri progetti non cinematografici. “L’ho incontrata durante la post-produzione di Under the Skin. Sentivo tantissimi compositori, un minuto e passavo all’altro. Poi ho sentito 15 secondi della registrazione di Mica e ho chiesto subito di chi fosse. Non la conoscevo ma ci siamo incontrati già due giorni dopo. 10 anni fa abbiamo iniziato una conversazione che non è ancora finita. Lei ha un’intuizione emotiva unica, le chiacchierate che faccio con lei sono le più gradevoli”.

Carlo D'Acquisto
21 Ottobre 2023

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