BERLINO – Ressa e ritardi sono il marchio di fabbrica delle star americane. Ma stavolta, se la ressa c’è stata davvero, con i giornalisti in coda da un’ora prima e molti rimasti fuori dalla conferenza stampa ufficiale, il ritardo è stato davvero minimo. Si vede che Angelina Jolie vuole proprio accreditarsi come una regista seria, fuori da ogni posa divistica. Qui a Berlino ha persino incontrato il ministro degli Esteri tedesco e a quelli che sbavano per sapere se Brad Pitt l’accompagnerà sul tappeto rosso alla premiere di In the Land of Blood and Honey replica limitandosi a dire che, sì, voterà per suo marito agli Oscar (lui è candidato come protagonista di Moneyball). Per poi subito ribadire che dopo l’esperienza del film la sua vita è cambiata.
Contornata dai suoi attori, otto in tutto, lascia che siano loro a parlare per primi, raccontando come sono entrati nel progetto, spesso increduli di essere chiamati a recitare nell’opera prima di Angelina in due versioni, in serbocroato e in inglese. La protagonista femminile, Zana Marjanovic, cresciuta a New York e rientrata a Sarajevo solo dopo la guerra, scherza: “Tutti mi dicevano, perché torni in Bosnia? Vai a Hollywood se vuoi fare il cinema… E invece sono stata scelta proprio per questo”. Lei e le altre interpreti femminili sono orgogliose di aver dato voce alle tante vittime della guerra e dello stupro etnico. Il veterano Rade Serbedzija confessa: “Avevo letto molte sceneggiature sul conflitto, ma di questa mi sono innamorato. Anche perché è un film sulla relazione tra due giovani che magari, in circostanze normali, si sarebbero sposati e avrebbero fatto un figlio”. Non sorvolano sulle controversie nate nella ex Jugoslavia, ma spiegano: “La nostra terra è schiava della storia che abbiamo vissuto, però era importante parlare delle donne violentate e piano piano anche in Bosnia Erzegovina hanno capito il senso del progetto”.
Angelina accetta l’idea che il suo film divida. “Le interpretazioni sono tutte diverse, ma va bene così. Ho voluto raccontare questa storia innanzitutto per me stessa, per capire cosa fosse accaduto, in America se ne sa ben poco”. Anche se non si fa troppe illusioni, spera che In the Land of Blood and Honey abbia anche una funzione catartica: “Volevamo riaprire il dialogo e ricordare al mondo intero quegli anni e il loro impatto. Poi è fondamentale creare un’immagine di unità in una regione che è ancora fortemente divisa”.
Una giornalista le chiede se non si sia posta il problema, da madre di sei figli, di mostrare un neonato gettato dal terzo piano da feroci soldati cetnici che fanno irruzione nelle case dei bosniaci musulmani. “Grazie per questa domanda. E’ una questione che mi sono posta, certamente, ma credo un film sulla guerra debba prendersi la responsabilità di mostrare cose orribili, di far sentire lo spettatore a disagio. Quando vedo un film su questi temi che scorre via facile, la cosa mi sembra fuori posto. E pensate che non ho mostrato tutto quello che avrei potuto, anche in quella scena c’è pudore, non si vede realmente il corpo del bambino”.
Una cronista serba contesta che siano state 500mila le donne musulmane violentate. “Le stime parlano chiaro. Lo so, è una cifra che fa spavento, ma è così. La ricostruzione è molto precisa, so che In the Land of Blood and Honey non è un documentario, ma ci siamo informati, ho ascoltato moltissime testimonianze di sopravvissute, ad esempio le donne che sono state usate davvero come scudo umano durante azioni di guerra”. Arrivano gli elogi e lei sorride: “Sono contenta se mi dite che c’è equilibrio. Non volevo fare il conto dei buoni e dei cattivi, ma raccontare cosa succede agli esseri umani durante una guerra, c’è qualcosa dentro di loro che si spezza”.
E il futuro? “Sarà difficile tornare a fare film d’azione”, ammette. “Non ho recitato per due anni, adesso farò Maleficent per la Disney”. Sarà dunque la strega cattiva nello spin off di Sleeping Beauty diretto da Robert Stromberg e ispirato alla versione della fiaba di Linda Woolverton, che riscrive il rapporto tra la Bella addormentata e la strega. “Fare un film per bambini mi aiuterà a trovare il giusto equilibrio. Ci sono vari modi di vedere le cose: i film d’azione, per esempio, piacciono alle mie figlie e le rendono più forti”. Ma In the Land of Blood and Honey, uscito negli Usa il 23 dicembre e candidato al Golden Globe come film in lingua straniera, resta comunque “la cosa più importante che ho fatto, la più autentica, la più vicina al mio cuore”.
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