Boston, 15 aprile 2013. Due esplosioni causate da altrettanti ordigni artigianali interrompono la più antica e prestigiosa maratona al mondo provocando tre morti, tra cui un bambino, e oltre duecentocinquanta feriti. Un uomo, come tanti altri insieme a lui, si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato. Non è un atleta ma il commesso di un reparto gastronomia di Costco, e si trova vicino al traguardo con un manifesto destinato all’ex-fidanzata, oggi sua moglie, che vuole riconquistare e che partecipa alla competizione. Si chiama Jeff Bauman e nell’esplosione perde la parte inferiore di entrambe le gambe. Un fotografo di passaggio scatta una foto del momento in cui Jeff viene soccorso, e quell’immagine fa il giro del mondo trasformandolo improvvisamente nell’uomo simbolo di quella tragedia. È tratto dalla sua vera storia, da lui stesso raccontata in un libro di memorie, Stronger, il film di David Gordon Green in concorso alla Festa di Roma e nelle sale italiane dal 4 luglio con 01 Distribution. Racconta di quest’uomo comune divenuto il simbolo di speranza, forza e determinazione di una città ferita. Ma anche emblema del coraggio umano di resistere di fronte alle avversità più terribili, quando la vita viene sconvolta da una tragedia le cui conseguenze influenzano non solo la vittima ma anche tutte le persone che le stanno intorno.
“Non mi piace il termine eroe”, sottolinea Jeff Bauman intervenuto nella conferenza stampa di presentazione del film. “Ci sono tanti eroi nella mia vita, a partire da chi mi salvato quel giorno a coloro che quotidianamente mi stanno vicino. A loro mi appoggio ogni giorno, sono loro i veri esempi. Fare il libro e poi il film mi ha dato l’opportunità di mostrare che si può affrontare qualsiasi momento, per quanto terribile esso possa essere. Vorrei che i disabili vedessero nel film la possibilità di non sentirsi soli, perché nel mio processo di guarigione la cosa più difficile è stata proprio entrare in contatto con gli altri. All’inizio avevo solo voglia di rifugiarmi in un buco e nascondermi dal mondo. Uscire da quel guscio è la cosa su cui lavoro da tre anni, ultimamente insieme a un terapista. Oggi sono un uomo realizzato e un buon padre, ma ho attraversato anche momenti di autolesionismo, alcolismo e solitudine profonda. In questi anni ho incontrato molti reduci di guerra che hanno subito ferite, mi hanno aiutato a venir fuori dal buio e li sento vicini: abbiamo in comune l’esperienza traumatizzante di essere dei sopravvissuti, e quella reazione iniziale di volersi allontanare dal mondo”.
Interpretato da Jake Gyllenhaal, che è voluto entrare così fortemente nel film da anche produrlo: “Quando mi è arrivata questa storia, ho capito che avevo molto da imparare da Jeff sulla resistenza e sull’opportunità di farcela attraversando i momenti più difficili della nostra vita, qualunque essi siano. Da lui ho appreso che l’essere forti riguarda le piccole cose, sono i momenti quotidiani quelli che veramente commuovono e toccano nel profondo, e spesso la cosa più potente da fare per qualcun altro non è parlare ma semplicemente esserci, stargli accanto. Il film è un cammino verso la speranza che riguarda lo spirito dell’uomo, la sua resilienza e capacità di resistere. Nell’avvicinarmi a quello che ha vissuto Jeff, ho capito che quest’uomo, che in un istante ha perso tutta la vita che conosceva, si è ritrovato all’improvviso ad essere, suo malgrado, un eroe, un simbolo. Questa cosa, anche se partiva dalla buona volontà della comunità che gli era intorno, in realtà lo ha schiacciato, appesantendolo con la responsabilità del ruolo. Un fardello enorme da portare in un momento tanto difficile. Ma lui è stato così bravo da riuscire a farlo, si è risollevato e ha portato avanti quell’insegnamento di speranza che oggi rappresenta per tutti la sua storia”.
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