E’ arrivato in Italia con due anni di ritardo, dopo le presentazioni a Cannes e Toronto del 2014. Lento e inesorabile come la creatura che lo infesta, così si muove It Follows, rivoluzionario horror del regista David Robert Mitchell che si basa su un canovaccio semplice quanto intrigante (e spaventoso). Il film segue la logica di un incubo. Senza stare troppo a spiegare, esiste una creatura – indefinita e indefinibile – che si mette a seguirti (con pessime intenzioni) se fai sesso con qualcuno. E’ come un virus, è capace di cambiare aspetto (“può essere qualcuno che ami che improvvisamente cerca di farti del male, o semplicemente uno sconosciuto nella folla”) ma, a differenza di un altro celebre ‘It’ della narrativa horror – quello di Stephen King – assume solo sembianze umane, sebbene sgradevoli, emaciate, inquietanti e malate. E’ l’essere umano nel suo stato peggiore. Siamo noi come saremo un attimo prima di morire, dimentichi di ogni regola, di ogni inibizione, di ogni pensiero razionale, perfino della capacità di parlare in maniera articolata.
Rantola e non ha fretta, questo ‘It’. Non corre. Non ti salta addosso dalla destra del fotogramma, come fanno quasi tutti gli altri ‘mostri’ del cinema. Ti segue camminando. Sa che prima o poi ti prenderà, come una malattia progressiva o, volendo, la morte stessa. Si può guidare fino all’altro capo del mondo, ma non sarai mai veramente al sicuro. Solo in un modo puoi liberartene: passandolo a qualcun altro, ovviamente, sempre tramite sesso. E anche in quel caso, non si esce dal pericolo.
Se quel qualcuno si fa uccidere, la malattia torna a te. Come Candyman o The Ring, anche questa pellicola si rifà al filone delle ‘leggende metropolitane’, ma lo infarcisce di trovate stilistiche eccezionali, dalla fotografia ombrosa che ricorda gli horror degli anni ’70, alle riprese a 360° che portano lo spettatore a scrutare ogni angolo dell’inquadratura per cercare di capire se da qualche parte spunta qualcuno di potenzialmente pericoloso, alla presenza di oggetti anacronistici, o addirittura inesistenti, che collocano la storia in uno spazio onirico al di fuori di un’epoca ben precisa e stabilita. Tutto questo contribuisce a immergere lo spettatore in un’atmosfera straniante dove non solo non contano le spiegazioni razionali, ma anzi vengono messe al bando, rispondendo semplicemente al principio del ‘ho sognato/ho immaginato che’.
C’è il senso di colpa, la paura di crescere e di confrontarsi con il mondo degli adulti, che non a caso resta quasi completamente escluso dallo svolgersi della vicenda. I protagonisti sono in evidente età di transizione, tra gli adolescenti in fiamme dei classici slasher anni ’80 e i personaggi di un cartoon alla Scooby Doo. Il sesso è vissuto con inquietudine, ma anche come una liberazione o, almeno, un palliativo, un attimo di respiro tra una tappa e l’altra di una fuga che potrebbe non avere mai fine. Grandissimo successo (oltre 20 milioni di dollari in tutto il mondo), genererà presto un sequel, a detta dei produttori. Non sappiamo se sia una buona idea. Dopotutto, gli incubi, i sequel non ce li hanno.
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