PARIGI – Padre italiano e madre della Guadalupa, la direttrice generale di Unifrance Isabelle Giordano sintetizza bene la Francia arcobaleno che vuole promuovere nel mondo il suo cinema, ma anche il suo sistema produttivo, attirando autori da tutto il mondo. Cinecittà News ha incontrato la Giordano, per anni Madame Cinema per i telespettatori di Canal Plus e France Télévisions, nel corso del Rendez-Vous di Unifrance a Parigi.
Dopo un sali e scendi negli ultimi due anni le cifre del 2014 sono molto positive per il cinema francese all’estero.
Quando ho visto le cifre del 2012 così in crescita improvvisa mi sono detta che sarebbe successo una volta un quindici anni e sarebbe stato difficile ripetere quei numeri, perché nello stesso anno c’erano stati Taken 2, Quasi amici e The Artist. Poi nel 2014 siamo ripartiti e penso possa essere una curva di crescita dalla durata almeno di cinque o dieci anni. È una tendenza del cinema francese, che ha capito l’importanza di fare dei film anche per il pubblico internazionale.
Ci sono molti autori conosciuti all’estero, ma lo star system degli attori francesi è meno forte, specie per gli uomini, che non sono così noti al pubblico straniero.
Bisogna cambiare un po’ l’immagine che si ha all’estero del cinema francese, immagine ancora vecchiotta e autoriale. Abbiamo tanto Besson quanto Jean Dujardin o Marion Cotillard, ma anche nuovi volti giovani come Adèle Haenel, Céline Sallette e Reda Kateb; i nuovi volti del cinema francese. È importante attirare l’attenzione su questa nuova generazione e soprattutto sulla nostra modernità, sull’audacia, insolenza, impertinenza che è presente, ma non sempre valorizzata.
È importante per voi l’Italia come mercato? Qual è la situazione del cinema francese dalle nostre parti?
Siamo molto contenti, ci sono stati non pochi successi confortanti come Giovane e bella, Belle e Sebastien, La bella e la bestia. Poi parlando con i vostri buyer ho sentito quanto sia stato apprezzato un film come La famiglia Beliér che uscirà presto (il 26 marzo, ndr) e spero piaccia agli italiani dopo l’enorme successo qui in Francia. Avrà un sottotitolo che trovo molto carino, Il silenzio è d’oro. Ci sono bei rapporti fra i nostri paesi, come ovviamente è sempre accaduto in passato. Come ogni anno verremo a Roma, nel mese di aprile, con una settimana dedicata al cinema francese portando buoni film e bravi attori.
Qual è il mercato più interessante per voi, in un mondo in cui molte economie stanno esplodendo in Asia, come la Cina?
In realtà il mercato più importante per noi è quello europeo, soprattutto la Germania e l’Italia. Consegnerò un premio, quando sarò a Roma in aprile, al miglior distributore italiano di un film francese. Per cui l’Italia e la Germania sono le nostre priorità; poi naturalmente c’è anche la Cina, ma con il sistema delle quote abbiamo diritto a far uscire solo sette, otto film all’anno. Sicuramente sono cifre enormi quelle che si possono fare lì, siamo passati da 5 a 17 milioni di spettatori. Siamo contenti, ma resta molto complicato.
Stanno cambiando i modi in cui vedere il cinema. Oltre alla sala per il futuro ci saranno sempre di più il video on demand e internet. È una sfida importante per lei?
Sicuramente, oggi ci sono mille modi in cui parlare all’estero del cinema francese. Bisogna passare per internet e il My French Film Festival è un segno di speranza per l’avvenire, per me è il futuro del cinema. La sala resta molto importante, per ritrovarsi insieme, un bel simbolo nel mondo di oggi, ma internet necessita di un’altra battaglia, non di Unifrance, ma dei governi europei, per lottare contro la pirateria.
Ci sono delle critiche interne al sistema con cui funziona il cinema francese. Alcuni partiti vogliono cambiamenti e tagli in un periodo di crisi. Come rispondete e come pensate si possa salvaguardare l’eccezione culturale del cinema francese?
Penso che abbiamo un sistema unico, che sostiene molto le opere prime – siamo il paese al mondo che ne produce di più – e tante coproduzioni. Il nostro sistema è straordinario, ma è normale che in un periodo di crisi abbiamo un po’ meno soldi, però è decisivo preservare la cultura e non ridurre troppo i finanziamenti. So che in Italia c’è un vero dibattito al riguardo, ho visto anche io dei palazzi non restaurati e cose del genere, è davvero un peccato. Ci sono delle maniere alternative per finanziare la cultura. Gli americani lo fanno molto bene, trovano sempre dei soldi privati e anche noi in Francia facciamo molti film con soldi provenienti dall’India, dal Qatar o dagli Emirati Arabi. Bisogna avere immaginazione e non restare in una posizione difensiva. Qui è la giornalista che parla in libertà, visto che Unifrance è finanziata con soldi pubblici e non vorrei che mi venissero tagliati, ma riconosco come sia importante andare a cercare dei finanziamenti privati.
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