Dal 21 marzo al cinema, distribuito da mescalito, dopo il passaggio al Biopic Fest, Vincenzo Agostino. Io lo so chi siete di Alessandro Colizzi, documentario sulla drammatica battaglia del protagonista, in cerca ormai da trentuno anni di verità e giustizia sull’uccisione del proprio figlio Nino, poliziotto, e della nuora Ida Castelluccio, incinta, il 5 agosto del 1989. Un caso caratterizzato da misteri e depistaggi.
I genitori di Agostino, uditi gli spari, andarono a soccorrere il figlio e la nuora: Antonino era morto, Ida si trascinava verso il corpo del marito. La madre di Agostino, insieme ad un vicino, la portarono in auto all’ospedale cittadino (distante pochi chilometri). Ida morì pochi minuti dopo il ricovero. Il corpo del giovane poliziotto fu coperto dalla madre quando tornò dall’ospedale. Quel giorno, Agostino non portava armi addosso.
La notte della morte di Antonino Agostino e della moglie, alcuni ignoti “uomini dello Stato” riuscirono ad entrare nell’abitazione dei coniugi defunti e fecero sparire degli appunti che riguardavano delle importanti indagini che stava conducendo Agostino. Ai funerali di Antonino Agostino e Ida Castelluccio, tenutisi la mattina del 7 agosto 1989, erano presenti i giudici antimafia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Giovanni Falcone disse al suo amico commissario Saverio Montalbano, pure presente al funerale: “Io a quel ragazzo gli devo la vita”. Antonino Agostino stava indagando sul fallito attentato dell’Addaura: il 21 giugno 1989 alcuni agenti di scorta trovarono su una spiaggia dell’Addaura un borsone contenente cinquantotto candelotti di tritolo. In quella stessa spiaggia si trovava la villa di Giovanni Falcone, obiettivo del fallito attentato. Agostino aveva probabilmente scoperto qualcosa di importante su quel borsone-bomba e per questo è stato eliminato. Attualmente i mandanti e gli esecutori dell’omicidio di Agostino e della Castelluccio sono ignoti.
Colizzi non taglia barba e capelli da quel tragico giorno, e ha promesso che non lo farà finché non le otterrà. “Io lo so chi siete” è il grido disperato rivolto da Ida agli assassini poco prima che le sparassero al cuore. Il processo si è avviato in Palermo solo di recente.
A presentarlo in conferenza stampa al cinema Intrastevere di Roma sono Colizzi, Silvia Cossu (sceneggiatrice) e Attilio Bolzoni (giornalista) moderati da Pif.
“La narrazione – dice Cossu – segue soprattutto la militanza di Vincenzo e della moglie, recentemente scomparsa. Ma non è stato semplice, dovevamo seguire Vincenzo e i familiari. Flora, ad esempio, si è sentita di darci un’intervista solo alla fine della lavorazione. Le diramazioni sono così tante che all’inizio pensavamo di farne un film di fiction”.
Dice Pif: “la verità si conosce. Dove non arrivano le prove arriva la logica, sappiamo di chi si tratta, quindi la mancanza di ufficialità fa ancora più rabbia. A Palermo si usavano le lapidi e i luoghi degli omicidi come indicazioni stradali. Ma certe cose le ho scoperte solo a 34 anni, come il nome di Calogero Zucchetto. A scuola non ci parlavano certo di mafia. Ci sarebbe stato il maxiprocesso se non ci fosse stata la caduta del muro di Berlino?”
“Mi ha colpito il personaggio – dice il regista – un’icona che ricorda Leonardo Da Vinci, è come se la sua vita si fosse fermata, senza elaborare il lutto, così come la vita della moglie. Lo vediamo cristallizzato, pur persona generosissima, che ha vissuto un terribile trauma e un terribile dolore ma ha combattuto tutta la vita mantenendo una sua umanità e voglia di ridere, di scherzare, di cucinare, lo considero un esempio e una figura paterna, con grande lucidità di pensiero. Tutta la sua battaglia la racconta anche nelle scuole empatizzando coi giovani. Chiudiamo un film con un bambino prodigio, il più giovane ‘puparo’ di Palermo, che è suo amico. C’erano diverse linee narrative: la vicenda personale, la storia, i materiali di repertorio, se ne è occupata Silvia., approfondendo la parte storica e poi riuscendo a condensare tutto in un’ora, quando poteva durarne tre. Volevo che tra la vicenda di Vincenzo e la ricostruzione storica ci fosse equilibrio. Nonostante il processo, temo che Vincenzo non saprà mai esattamente perché il film è stato ucciso. Ma la sua esigenza è quella di comunicare questa sua necessità ai giovani. Forse non vedremo mai il giorno della verità, ma il mondo potrebbe cambiare. Il film ha trovato la sua forma ideale, credo sia un bene che sia diventato un documentario”.
“Il punto è stato mettere insieme la Mafia e l’eversione fascista – spiega ancora Cossu – digerirlo non è facile. Alcune tracce portano anche alla strage della stazione di Bologna, c’è dietro una trama unica. Pensavo che Vincenzo fosse un folle a sperare di scoprire la verità, ma poi ho capito. Non è la sentenza la cosa importante, è la lotta. Lui ha speranza dove io non ce l’ho, e io sbagliavo”.
“L’89 è l’anno in cui si preparano le stragi – commenta Bolzoni – finisce il ‘maxiprocesso’ e Falcone viene tradito dalla magistratura, e costretto ad andare a Roma. Poco dopo l’attentato “fallito” dell’Addaura. E’ l’anno di preparazione per il ’92. Falcone e Borsellino, poi i Georgofili a Roma e infine il silenzio totale, durante il quale viene ricostruito il sistema infetto. E’ un anno cruciale per Palermo. La prima pista per l’omicidio di Agostino fu ‘passionale’. Si diceva ‘omicidio di femmine’, tirando in ballo una vecchia fidanzata. Mentre davano alla stampa queste informazioni falsate venivano svuotati gli armadi di casa di Agostino importanti documenti. I poliziotti sapevano quello che facevano. E i depistaggi sono andati avanti per vent’anni. E’ pieno di magistrati pigri, superficiali e poco attenti ma le indagini su Falconi negli ultimi anni sono buone. Solo che noi italiani non ci possiamo accontentare della verità giudiziaria. Capaci non era un solo un attentato di mafia ma uno scenario di guerra. I crateri di Capaci sono troppo grandi per entrare in un’aula di giustizia”.
Prima della sala, il film ha avuto una distribuzione nelle scuole per il suo alto valore informativo.
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