Io che amo solo te è un libro di successo di Luca Bianchini, con tanto di seguito (‘La cena di Natale’) e ora è un film con Riccardo Scamarcio e Laura Chiatti, diretto da Marco Ponti, dal 22 ottobre in sala con 01 in 450 copie. Lo hanno prodotto la IIF dei Lucisano e Rai Cinema e nel cast ci sono anche Michele Placido e Maria Pia Calzone, veri protagonisti ‘dietro le quinte’ di una storia d’amore segreta che dura da decenni, ambientata in quel di Polignano nelle Puglie. Si tratta in sostanza della cronaca di un matrimonio – quello appunto dei personaggi di Chiatti e Scamarcio – in realtà non troppo convinto, tra bugie, ripensamenti e tradimenti.
“Quando abbiamo chiamato Scamarcio – dicono Bianchini e Ponti – eravamo proprio a Polignano e lui ci ha detto che era lì anche lui, e ci ha invitati a cena. Però siamo arrivati prima e per non farci vedere ci siamo nascosti in un negozio”. “Mi è piaciuto non essere propriamente protagonista – dice Laura Chiatti – poi per i ruoli femminili non è nemmeno una gran novità. Ho letto il libro mentre stavo preparando il mio matrimonio, il che mi ha molto ispirata”. “Il film è corale –commenta Scamarcio – ed è bello essere anche solo ‘un pezzetto’ della storia. Il vero veicolo d’emozione sono la coppia formata da Maria Pia e Michele e noi facciamo invece il lavoro ‘sporco’, quello dei personaggi non del tutto perfetti, pieni di spigoli, molto moderni. Forse proprio questo spinge lo spettatore a identificarsi. Nella struttura è simile a una commedia anni ‘60”.
“Io sono nato nella Puglia peggiore – racconta Placido – quella del Tavoliere, piatta, dove non c’è niente. Quella del ‘fuggi da Foggia, non per Foggia ma per i foggiani’. Questo per dire anche la mentalità della gente. La Puglia bella e solare la conoscevo poco, e devo dire ho passato un mese straordinario. Polignano è ospitale e ricca di turisti americani, inglesi e tedeschi che vogliono comprarci casa. Spesso ci leghiamo troppo al folklore nella rappresentazione del Sud ma invece qui c’è spontaneità. Il mio personaggio è un vecchio patriarca, il classico venditore di patate, o pane o cerase con il sacco dei soldi sempre sott’occhio. E poi c’è questo ricordo, il primo amore, la prima emozione forte di gioventù. Anch’io quando torno al mio paese passo a rivedere il mio primo amore. Lei è dolcissima. Si imbarazza e nemmeno ci salutiamo. Del resto ha un marito geloso e pesa 120 chili, io sono andato via, faccio l’attore, mi sono dovuto tenere in forma. A noi ci si dice sempre che invecchiamo, a De Niro o Pacino mai. Anzi non sapevano se assegnarmi il ruolo, dicevano che ero troppo anziano. Ma Lucisano che è più anziano di me ha detto: ‘No, Michele è giovane e va bene’”.
“Non mi sono ispirata a niente di personale – commenta Maria Pia Calzone – ripensare al mio primo amore mi fa soffrire e mi dispiace che anche mio figlio, a tre anni, sia giunto alla stessa conclusione: ‘l’amore fa male ed è meglio evitarlo’. Ho solo cercato di abbracciare il personaggio e la sua forza. E’ bello sapere che esistono ancora bei ruoli anche per attrici sopra i trent’anni”. Nel film il personaggio di Placido dimostra di essere in fondo molto ‘liberale’, accettando l’outing di un figlio gay (Eugenio Franceschini). E’ veramente una situazione plausibile? “Ma io penso che in Puglia siamo all’avanguardia – dice Placido – abbiamo il mare dove passano tante culture, nei porti di Bari e Brindisi. E abbiamo avuto Vendola. Io l’ho anche aiutato a fare la campagna, nonostante in passato mi abbiano dato del fascista solo per screditarmi. Mi hanno pure detto: ‘ma sei pazzo, è ricchione!’. Mica per niente, è che sapevano che la campagna sarebbe stata dura. Io però ho conosciuto lui e la sua famiglia, la sua mamma, che è una donna straordinaria. Ho trovato una persona colta, intelligente e allora mi sono convinto e ho convinto pure il parroco. Alla fin fine cresciamo in famiglie numerose dove a decidere sono le donne, le mamme. E vi assicuro che a una mamma pugliese non importa nulla se il figlio è gay. Ma anche io, se scoprissi che uno dei miei figli è gay, lo amerei e lo incoraggerei anche più degli altri, perché essere sé stesso per lui sarebbe ancora più difficile”. “In realtà – chiude Scamarcio – per quanto al Sud ci sia una tendenza retrograda che in realtà riguarda tutta Italia, l’Europa e l’Occidente, ci sono alcune zone paradossalmente così legate al substrato arcaico, magico e agricolo che l’omosessualità la considerano parte endemica del proprio essere. Non si fanno troppi problemi. Mi ricordo uno striscione con scritto in napoletano: “Quando noi eravamo ricchioni voi stavate ancora nelle caverne”.
Nel film anche un cameo frizzante di Enzo Salvi e la partecipazione di Guido Abbrescia e Luciana Littizzetto. Si vocifera naturalmente già di una trasposizione del sequel, in caso di successo. Immancabile la canzone omonima di Sergio Endrigo come commento sonoro.
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