Il punto di partenza per il convegno “Impresa cinema & finanza”, in programma nella seconda giornata degli Screenings d’estate a Ostia, è tutto nelle parole del moderatore Severino Salvemini dell’Università Bocconi di Milano: “Senza una forte industria e finanza alle spalle, il cinema italiano fa fatica a raggiungere dimensioni competitive e a far apprezzare oltre confine ciò che produce di buono. La filiera è oggi troppo frantumata; il nostro cinema è ancor oggi carente di momenti verticali forti (il modello della major statunitense). La nuova finanza può giocare il ruolo di assemblatore e di orchestratore di fasi troppo atomizzate”.
Il punto di arrivo è indubbiamente lontano perché gli operatori e i gestori finanziari si muovono con molta prudenza e con una valutazione attenta ai rischi, eppure qualcosa sta cambiando: inediti sono i fondi di investimento nel settore.
Giampaolo Sodano, presidente dell’Associazione dei distributori (Unidim), sottolinea che per attrarre capitali finanziari è indispensabile costruire un’unica impresa cinema per affrontare la competizione globale. Di qui l’invito ad abbandonare i lidi del “piccolo bello” e attraverso il sistema delle alleanze e delle integrazioni puntare al “grande e competitivo”. Sodano ricorda che, secondo il Censis, il 70% delle imprese del sistema cinematografico ha un capitale sociale che va da zero a 25mila euro, mentre solo il 2,5% va oltre il milione di euro.
Carlo Bernaschi, presidente dell’associazione dei multiplex, l’Anem, chiede che la finanza intervenga nella parte iniziale della filiera, la produzione. Manca il prodotto che incontri il gusto del pubblico, come ribadisce anche Alberto Francesconi presidente degli esercenti, l’Anec, che peraltro sottolinea come vadano tenuti in conto gli interessi di piccoli e medi esercenti che fanno “cinema di frontiera”. Tanto più che la ristrutturazione del settore ha portato alla chiusura di 8mila sale a fronte di 3mila rimaste in funzione.
Per Romano Franza, rappresentante della Sezione credito cinematografico della Bnl, occorre riscoprire la figura del produttore oggi prigioniero degli autori, tant’è che la cultura dell’impresa e del mercato non riesce ad affermarsi. Un passo obbligato è il rafforzamento della posizione patrimoniale del produttore che ha bisogno di qualcuno che rischi con lui.
Luigi Sala, gestore di fondi della B&S Electra, spiega alcune delle difficoltà che non facilitano l’intervento finanziario: l’alto rischio del processo produttivo, il dominio di pochi soggetti americani che governano la filiera in tutti i passaggi e che presentano in media all’anno 35 titoli di sicuro successo.
Per Pietro Landriani, rappresentante di Interbanca, è importante, per attrarre capitali, che un’azienda sappia gestire il proprio prodotto nel corso di almeno tre anni, dal box office al passaggio televisivo.
Alberto Bottolo, gestore finanziario di Societé Générale, prospetta interventi a partire da modelli adottati in Francia, Inghilterra e Stati Uniti, sapendo che l’unico criterio valido per l’investitore è il valore di mercato del film.
Tra gli interventi del pubblico da segnalare quello di un esponente dell’Api, Sandro Silvestri, che polemizza con Sodano: “Noi produttori indipendenti viaggiamo sulla border-line di realizzare film che rispondano a una domanda inespressa e inesistente. Lo schema di Sodano ha bisogno di un fornitore di creatività che è proprio il produttore indipendente che però non riesce a darsi una dimensione industriale. Del resto – ricorda il rappresentante dell’Api – secondo Jack Valenti nella contea di Los Angeles il 98% delle imprese cinematografiche non supera i 4 dipendenti”.
Da Sodano, convinto che imprenditorialità si coniughi con creatività, in chiusura un appello perché le innovazioni finanziarie presentate dagli operatori economici trovino finalmente una legislazione adeguata, oggi purtroppo archeologica.
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