Interstellar secondo la scienza: masterclass a Tor Vergata

Una masterclass organizzata dall’Università di Roma Tor Vergata in occasione dell'uscita del Blu-ray spiega cosa c’è di vero e cosa di inventato nel film


Interstellar di Christopher Nolan è stato uno dei grandi successi della scorsa stagione cinematografica. Tra i suoi punti di forza, un approccio moderno al racconto sci-fi, incentrato non su alieni e spade laser ma su temi a noi vicini, tangibili, e affrontabili con uno stile para-scientifico se non ‘realistico’ comunque basato su teorie reali e molto vicine a quello che si potrebbe definire ‘plausibile’ secondo i parametri delle scienza positive. E’ risaputo che tra i consulenti illustri del film c’è il fisico Kip Thorne, esperto di buchi neri, wormhole e viaggi nello spazio-tempo. In occasione dell’uscita del Blu-Ray del film, il 1 aprile, l’Università di Tor Vergata di Roma ha organizzato una interessante masterclass sul film, alla scoperta di quanto c’è di reale e quanto di inventato nella pellicola. Riavvolgiamo il nastro: nel film si immagina che in un periodo imprecisato del vicino futuro (comunque ancora nel XXI secolo), le risorse naturali terrestri si sono gravemente consumate, a causa di violente tempeste di sabbia, che si verificano in numero crescente, e di una sconosciuta forma di malattia vegetale che consuma azoto, altrimenti nota come “piaga”. Buona parte dei terreni agricoli non sono più coltivabili, tant’è che persino il grano è morto, lasciando come unica fonte di cibo il mais. Il che porta i terrestri a viaggiare nello spazio in cerca di nuovi pianeti colonizzabili.

Ad affrontare i temi rispettivamente della fisica della gravitazione, delle risorse alimentari sul pianeta e dei viaggi interstellari intervengono, in un pomeriggio accademico dalla connotazione chiaramente divulgativa ma proprio per questo comprensibile anche ai profani ed estremamente interessante, Amedeo Balbi – Docente di astrofisica a Tor Vergata, Lorenzo G. Bellù della sezione Global Perspectives Studies della FAO – Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura e Enrico Flamini (Chief Scientist della ASI – Agenzia Spaziale Italiana),  dopo un’introduzione del Delegato del rettore alla Ricerca Scientifica Silvia Licaccia.

“Di scienza nel film ce n’è tanta – spiega Balbi – molta più che nel film hollywoodiano medio, anche di quelli meglio realizzati da un punto di vista scientifico. 20 anni fa non sapevamo nemmeno che c’erano almeno 4mila pianeti attorno ad altre stelle, di cui alcuni potenzialmente ‘colonizzabili’. Anche se ancora il gemello perfetto della Terra non si è trovato, ma magari è una scoperta che faremo nei prossimi anni. Il problema è che in un film, su questi pianeti, ci vuoi andare. Thorne aveva già lavorato come consulente, su argomenti simili, per il film Contact. E già ai tempi aveva spiegato al regista che non poteva infilare i suoi protagonisti in un buco nero, perché gli effetti sarebbero stati poco carini per loro: sminuzzati in un processo che definirono di ‘spaghettizzazione’. Trovarono una via d’uscita nel concetto di wormhole, ovvero un ponte che unisce due punti diversi nel tempo e nello spazio. E’ una soluzione scientificamente accettabile, anche se al momento chiaramente mancano i materiale e la tecnologia per renderla attuabile. La resa grafica nel film di Nolan è accurata ed estremamente plausibile”. Bellù ci riporta sulla terra: “Non credo che saremo costretti a colonizzare altri pianeti nel corso del prossimo secolo – dice – ma dovremo risolvere i problemi qui, sulla Terra, e questi riguardano non tanto le risorse quanto la loro distribuzione”. Enrico Flamini elenca una serie di missioni spaziali che hanno visto l’Italia protagonista, tra cui la missione Cassini, con la NASA, che ha portato alla scoperta di Titano, un nuovo mondo situato su uno degli anelli di saturno, dove non si può escludere la presenza di vita. “Prima si sapeva solo che era molto freddo per la presenza fortissima di gas metano nell’atmosfera. Grazie alla missione abbiamo scoperto che ha anche un oceano sotto una crosta ghiacciata e che si sono formati dei mari sulla superficie. Le ingegnerie sono molto avanzate, mancano invece certe forme di tecnologia. Se parliamo di Marte o Saturno, parliamo di distanze che si traducono in mesi o anni in termini di tempo ma è possibile comunque tornare sulla Terra e fare riferimento alla tecnologia che già abbiamo. I segnali radio tra questi luoghi e la terra viaggiano a una distanza che può variare della 14 ore ai 20 minuti, ma ci siamo. Si resta in contatto. Se parto per altre stelle dobbiamo tener presente un sistema completamente diverso, entrano in ballo appunto i wormhole e le stringhe e, quando saremo in grado di farlo, dovremo calcolare che un ritorno non è prevedibile, o che quando tornerò sulla Terra, il pianeta potrebbe non essere nemmeno più nelle condizione di ospitarmi. Forse nemmeno esistere.

Si parte per sempre, si va a colonizzare, come i grandi esploratori dei secoli scorsi”.  Si prosegue con domande ‘cinefile’ da parte del pubblico, non solo su Nolan. C’è chi chiede dei detriti spaziali visti in Gravity: “Non sono così pericolosi – specifica Flamini – anche perché ormai le basi spaziali possono variare l’altezza a seconda delle previsioni”. Alla fine, inevitabile LA domanda: se i cereali nel mondo di Interstellar stanno finendo, tanto da costringere la popolazione a un’alimentazione quasi esclusivamente a base di pannocchie, di cosa è fatta la birra che il personaggio di Matthew MacCounaghey tracanna in continuazione? Lorenzo G. Bellù ride, poi prova a rispondere: “probabilmente di mais anche quella. O banane. Spero che non arriveremo mai a dover bere un intruglio del genere”.

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02 Aprile 2015

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