In sala ‘Pericolosamente vicini’, l’intervista ad Andreas Pichler

“Avere per vicini di casa gli orsi è qualcosa che va gestito nella sua innegabile complessità”, spiega il regista del docufilm in sala il 26, 27 e 28 agosto. “Le semplificazioni di ogni tipo peggiorano le cose”. E ricorda “la grande importanza del ruolo dei Forestali, spesso lasciati soli”


“La natura è pericolosa. Nei confronti della natura siamo deboli, non ci lascia scampo”.

Quelle del veterinario Roberto Guadagnini sono le prime parole, pronunciate fuori campo, di Pericolosamente vicini, il documentario di Andreas Pichler che arriverà al cinema con Wanted il 26, 27 e 28 agosto (leggi qui il nostro articolo). Sullo schermo le immagini notturne dei soccorritori, che si aggirano nel bosco con le lampade frontali urlando “Andrea!”

“Il progetto del docufilm nasce molto prima della morte di Andrea Papi”, racconta il regista a CinecittàNews alla vigilia dell’uscita-evento in sala. “Avevamo girato alcune scene e interviste già l’estate prima. Vivendo a Bolzano, dunque relativamente vicino al Trentino, ho seguito dall’inizio il progetto della reintroduzione degli orsi nella regione, con le varie problematiche che si portava dietro”.

È una nuova e delicatissima sfida quella che il regista di The Milk System e Teorema Venezia, da sempre attento ai più caldi temi ambientali, affronta nel suo nuovo documentario: il complesso rapporto tra l’uomo e la popolazione di orsi che vive nelle Alpi, tornato sulle prime pagine di tutti i giornali d’Europa con la morte del runner 26enne ucciso dall’orsa JJ4 nei boschi del Trentino nella primavera del 2023. Attraverso il paziente ascolto di tutte le voci presenti sul territorio, Pichler non offre risposte facili o definitive, ma invita a una riflessione profonda sul rapporto tra uomo e natura.

“La voglia di occuparmene è andata crescendo in me pian piano, perché molti conflitti all’interno della comunità locale erano già ben presenti prima della morte di Papi”, continua Pichler. “Diciamo che i problemi sono aumentati negli anni, dal 2014 in poi, da quando ci sono stati i primi attacchi con feriti. Il mio progetto in particolare è nato nel 2019 – 2020, il periodo in cui l’attenzione era puntata sull’orso M49 (detto Papillon, dall’omonimo film), un giovane e forte maschio che per fortuna non aveva ferito umani, ma aveva ucciso molti animali domestici e si era messo in testa di ‘impossessarsi’ di alcune baite di montagna. Catturato due volte, era scappato entrambe, saltando i recinti elettrici”

Che tipo di ‘conflitti’ si manifestavano già allora tra gli abitanti?

“C’era già una percezione molto diversa, a seconda delle ‘parti’: da un lato l’orso M49 era diventato l’eroe assoluto degli animalisti, e dall’altra c’era la popolazione locale e i contadini che avevano il terrore che potesse tornare da loro: gli schieramenti erano già molto netti e presenti, ed era lì per me la partenza del progetto”.

Con chi ha cominciato a parlare, quindi, per formare ‘il cast’ del suo racconto?

“Avevo già preso contatti con la Forestale, con i contadini e con gli animalisti quando Andrea Papi morì, e questo evento tragico mi ha trovato pronto a mettermi in moto subito per girare il resto. Ovviamente a quel punto il lavoro è diventato molto più complicato, in primis perché tutta la vicenda divenne molto più emozionale e tragica, con molte persone che non volevano proprio più sentirli nominare gli orsi, poi perché la presenza mediatica era molto forte, tutta la stampa europea era presente sul territorio, c’erano telecamere dappertutto”.

Dove e come avete girato le scene con gli orsi?

“Tutti gli orsi che nel film si vedono ‘in natura’ sono stati ripresi nelle Dolomiti del Brenta, in Trentino. Daniel Mazza è stato il dop di tutto il documentario, poi avevo un cameraman particolare, Horst Eberhöfer, che si occupa solo di fotografia wildlife: è stato intere settimane a fare appostamenti. Mentre in Germania, nella Foresta Nera, abbiamo girato le scene nel parco recintato, quello dedicato agli orsi “problematici”.

Pericolosamente vicini è un racconto corale, in cui la prossemica del regista, fin dal primo minuto, è chiaramente quella dell’ascolto. Quale era, se c’era, il suo primo obiettivo con questo documentario?

“Far comprendere bene la complessità della situazione, questo certamente era il mio primo intento: ascoltare tutti gli attori in campo, e far trarre le conclusioni allo spettatore. Avere degli orsi come vicini di casa comporta un bel ‘cambio di passo’ per la comunità, e molte persone hanno difficoltà a rendersi conto di questo. D’altra parte è chiaro che anche l’orso ormai ha un suo posto. Purtroppo questo discorso ormai contiene molta ideologia, sia da una parte che dall’altra: sia tra quelli che vogliono ucciderli tutti, sia tra quelli che sono “contro” l’uccisione di qualsiasi esemplare. Il film mostra questo dilemma, e cerca di far capire che le scelte debbono essere fatte singolarmente e senza dogmi”.

“In nessun altro luogo al mondo orsi e uomini vivono così vicini come in Trentino”, recita la prima scritta che appare sul grande schermo. Dunque possono o no convivere? O è una domanda destinata a rimanere senza risposta?

“Non c’è una risposta semplice, ci vuole tutta un’educazione e una preparazione della popolazione delle Alpi che noi in Europa abbiamo perso, ormai da 150 anni non c’erano più orsi nelle nostre montagne. Nei Paesi scandinavi, ad esempio, si impara già a scuola cosa bisogna fare quando se ne incontra uno. E negli stessi Paesi, così come in Slovenia, se un orso è problematico viene ucciso, non c’è discussione. Però lì ci sono anche molti più orsi, la loro non è una piccola popolazione come quella del Trentino. La grande peculiarità del progetto della reintroduzione degli orsi è che il Trentino, come gran parte delle Alpi centrali, è molto antropizzato, molto vissuto dall’uomo. A parte il turismo che fa la sua parte, l’intero paesaggio alpino è segnato dall’attività umana, da millenni: i boschi, i prati di montagna, non sarebbero tali senza gli interventi dell’uomo. E anche se oggi molto meno, ci sono ancora i contadini di montagna. Nelle Alpi non c’è quella che negli Stati Uniti si chiama ‘wilderness’, ovvero la natura completamente autonoma. In una situazione come il Trentino, quindi, dove la presenza dell’uomo è ovunque, anche un progetto come quello della reintroduzione di questo animale deve essere gestito dall’uomo”.

 

Nel film i Forestali ne escono come figure davvero preziose.

“Sì, la problematica della convivenza con gli orsi era diventata da anni una tale patata bollente che la politica non voleva occuparsene più di tanto, e il documentario racconta come invece i Forestali, che al tempo della partenza del progetto erano giovani entusiasti e oggi sono i veri esperti sul territorio, sono stati lasciati completamente soli, nel mezzo di questo conflitto. Perché poi le decisioni piu importanti vengono prese – o non prese – dalla politica. È la classica storia che dimostra come ormai ci troviamo in un’epoca in cui le complessità dei conflitti sociali vengono semplificate e la situazione diventa così ancora più complicata, perché la politica non vuole più prendere decisioni”.

“Con la tragedia di Andrea Papi il tema si è decisamente ampliato e spostato, ma il centro del mio progetto, all’inizio, erano loro, i Forestali”, chiosa il regista. “Ci ho lavorato moltissimo, perché sono davvero importanti, dei grandi professionisti che non hanno quasi mai voce: proprio loro, che stanno esattamente nel mezzo e vengono criticati dalle due parti opposte del conflitto, non appaiono quasi mai in pubblico, diversamente dagli animalisti o dalle altre parti in campo, che per mille ragioni hanno i loro canali. Il ruolo dei Forestali é quasi tragico: ‘Siamo tra l’incudine e il martello’, dice uno di loro”.

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26 Agosto 2024

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